Lo scontro pericoloso del "bianco razzista". Occidente sotto accusa, da Minneapolis a Parigi

La tragica e colpevole uccisione di Nahel che scuote la Francia - anche se certo non può sfuggire che il contesto, la storia, la cultura sono diverse - riporta subito alla mente l'omicidio da parte della polizia di George Floyd

Lo scontro pericoloso del "bianco razzista". Occidente sotto accusa, da Minneapolis a Parigi

La tragica e colpevole uccisione di Nahel che scuote la Francia - anche se certo non può sfuggire che il contesto, la storia, la cultura sono diverse - riporta subito alla mente l'omicidio da parte della polizia di George Floyd, a Minneapolis nel maggio 2020. Nei giorni che seguirono, in cui grandi masse, specie afro americane, distrussero negozi, auto, interi centri urbani con lo slogan «Black lives matter», nessuno mise in questione, su tutta la stampa e nella politica, che si trattasse di un omicidio razzista. Non un omicidio personale: era una società, una civiltà, posseduta da «razzismo sistemico» che mostrava senza possibilità di smentita la sua vergognosa attitudine. Questo assassinio mostrava cioè, e da allora le cose si sono sviluppate nella larga lettura woke del razzismo storico americano, che la società americana era razzista, schiavista, oppressiva; da questo si poteva dedurre che tutte le società a dominazione bianca erano tali. Una fonte di terribili sensi di colpa. Da questo momento nasce una tendenza culturale, politica, di costume, molto punitiva, una punizione collettiva soprattutto segnale di irredimibilità: il bianco è razzista. Così sembra apparire oggi la società francese sulla stampa internazionale: nessuna luce in vista, anche se da decenni si batte con un problema di integrazione sociale, religiosa e politica che fa tremare le vene ai polsi.

Mentre negli Usa e anche qui i giocatori prima della partita, e i politici come Nancy Pelosi si inginocchiavano per 8 minuti e 46 secondi, il tempo in cui purtroppo Loyd fu soffocato dal poliziotto bianco, il concetto di «bianco privilegiato» si diffuse per ogni dove e una specie di frenesia morale impiantò una nuova cultura della colpa nelle scuole, nelle università, nelle case editrici, nei serial di Netflix, nelle arti, nel lessico comune, nella rilettura dei protagonisti della storia americana. Divennero razzisti i bambini bianchi nelle scuole, gli scrittori, gli artisti, tutti o quasi suprematisti bianchi, censurati e anche cancellati per questo. Stiamo andando in quella direzione?

La Francia ha una storia sua, certo, ha da raccontarci la sua sequenza di scontri micidiali fra polizia e folle di francesi di immigrati e dei loro figli: nel 1979, a Lione giovani di origine maghrebina in lotta contro la demolizione di case popolari; negli 80 le rivolte per l'assassinio di Toumi Djaidja che contagiarono una vasta base operaia; del tema banlieu e cittadine neglette sono permeate le guerriglie del 2005 (con lo stato d'emergenza) e anche i gilets jaunes del 2018 che sono una storia a parte, ma coinvolta.

Eppure quello di oggi è uno scontro più pericoloso, perché è nel cuore dell'Europa polarizzata culturalmente, quasi come gli Usa. Una Francia dal grande passato, dalla grande borghesia, si vede costretta a contemplare la propria continua messa sotto accusa mentre la sua riserva di esplosione sociale trova nuove scintille e oggi anche la loro copertura ideologica woke. Duole molto che si tratti della morte di Nahel, ragazzino di origine algerina, musulmano. Mi azzardo a immaginare che abbia sofferto emarginazione e razzismo, ma che fosse uguale alla maggioranza dei ragazzi d'oggi quando voleva essere rapper e youtuber, sperare nel successo e disegnarsi un mondo di effettive possibilità, come cerca di approntare fra mille difficoltà la società occidentale per chi vi approda, e per i suoi figli. È notevole che tutti gli articoli sulla sua morte ne facciano un eroe di una irrimediabile diversità in lotta; tutto il mondo ha scritto articoli sottolineando la sua condizione di vittima sociale. Esempio sommo, il pezzo di Al Jazeera rileva «la storia sordida di razzismo coloniale e di violenza contro la gente considerata (dalla Francia) non bianca di Haiti, le Guadalupe, la Martinica, i Caraibi, la Reuinion Island nell'Oceano indiano, il Nord Africa e l'Africa Occidentale, come anche il Vietnam. La Francia ha oppresso senza remore gli algerini, inclusi quelli che sono cittadini francesi». Una colpa immarscescibile. Non così estremo, tuttavia il leit motiv resta spesso quello di una colpa collettiva. El Mundo, spagnolo, descrive «i sobborghi come posti marginali dove lo scontento dilaga e il modello di integrazione è fallito. I cittadini sono spesso francesi di origine straniera...nati in una Francia che li tratta come cittadini di seconda classe»; per El Pais «l'episodio illumina la discriminazione sofferta dalla gente dei sobborghi»; la Bbc denuncia l'uso facile delle armi da parte della polizia e ne fa «un momento simbolico che descrive il rapporto con la popolazione disillusa»; il Frankfurter Allgemeine Zeitung vede ne più né meno che la possibilità di una incontrollabile esplosione, e La Tribune de Genève «lo scontro fra due campi inconciliabili».

Certo, il lavoro di ricucitura dell'Occidente dopo lo schiavismo, il colonialismo e quant'altro è duro: ma non è quello cui si è accinto con grande determinazione dopo la Seconda Guerra Mondiale? O tutto questo sarà cancellato dalla «cancel culture»?

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