I punti chiave
Essere su un aereo che subisce il più lungo dirottamento della storia. Trascorrere il periodo tra il Natale e quasi la fine dell’anno nella paura costante di morire. Venire sottoposti a rischi, umiliazioni, violenze. È quello che è accaduto all’equipaggio e ai passeggeri del volo Indian Airlines 814, noto anche come volo Ic 814, al centro di una vicenda in cui è mescolata geopolitica e attualità. Perché, per salvare civili, piloti e hostess, i dirottatori la fecero franca, ottenendo ciò che volevano nei negoziati, e successivamente organizzarono e compirono diversi attentati terroristici, mostrando al mondo il volto mortale del terrorismo islamico prima dell’11 settembre.
Il volo
È il 24 dicembre 1999, l’Ic 814 ha in programma di volare da Kathmandu a Delhi. Si tratta di un Airbus A300, pilotato dal capitano Devi Sharan. Con lui il primo ufficiale Rajinder Kumar e l’ ingegnere di volo Anil Kumar Jaggia. A bordo ci sono persone di tutte le età, uomini, donne, anziani, bambini. Alcuni di loro si apprestano alle feste, con tanto di cappellini da Babbo Natale. Uno è un importante imprenditore, Roberto Giori, proprietario di De La Rue, antica azienda che si occupa, tra le altre cose, di stampa filatelica. Alle 17.30, ora locale, non appena il vettore entra nello spazio aereo indiano, viene assaltato da 5 uomini con passamontagna.
Il dirottamento
La ragione del dirottamento era chiara: si mirava alla liberazione di alcuni terroristi pakistani in carcere in India, ovvero Ahmed Omar Saeed Sheikh, Masood Azhar e Mushtaq Ahmed Zargar. Come riporta India Today, uno di loro, Masood Azhar fondò Jaish-e-Mohammed - gruppo responsabile dell’attacco al parlamento indiano nel 2001, degli attentati a Mumbai nel 2008 e a Pulwama nel 2009. Un altro, Ahmed Omar Saeed Sheikh, fu arrestato per il rapimento e l'omicidio del giornalista statunitense Daniel Pearl.
I nomi dei dirottatori erano invece Ibrahim Akhtar, Shahid Akhtar Sayeed, Sunny Ahmed Qazi, Zahoor Mistry e Shakir, tutti con un lungo curriculum di attentati e azioni terroristiche. Erano giunti in Nepal e si erano imbarcati in aereo proprio alla sua partenza da Kathmandu. Quando i dirottatori presero il controllo dell’aereo, ordinarono il pilota di atterrare a Lahore, in Pakistan, ma gli fu negato dalle autorità pakistane. Un atterraggio breve fu invece concesso a Amritsar, per fare rifornimento di carburante.
Qui, anche se in ritardo, si cercò di fermare il velivolo da operare un nuovo decollo, cosa che non accadde, tra minacce di uccidere i passeggeri e il tentativo in extremis di tagliare la strada all’aereo con l’autocisterna piena di carburante. Cinque dei passeggeri erano stati legati mani e piedi e i dirottatori avevano affermato che li avrebbero uccisi se il nuovo decollo fosse stato impedito. Fu in questo atterraggio che trovò la morte, con colpi di coltello al collo, Satnam Singh, un uomo asiatico con cittadinanza tedesca. Alle 19.49, con il serbatoio in riserva, nel momento del nuovo decollo, il capitano disse alla torre di controllo: “Stiamo tutti per morire”.
L’aereo provò di nuovo ad atterrare quindi a Lahore, ma l’aeroporto spense le luci per impedirlo: di fronte al tentativo di atterraggio di fortuna del capitano, rimasto quasi senza carburante, le autorità alla fine permisero l’approdo, per poi rispegnere le luci e cercare invano di impedire un altro decollo. Ulteriori atterraggi vennero operati a Dubai - dove furono rilasciati 27 ostaggi, tra cui il ferito Rupin Katyal, che però morì di lì a poco - e infine, tra il 25 e il 26 dicembre, a Kandahar, in Afghanistan, all’epoca sotto il controllo dei talebani.
Questi ultimi infatti circondarono l’aereo e dissero di offrirsi per i negoziati tra i dittatori e l’India. L’India accettò, non conoscendo i talebani che, in realtà armati fino ai denti, erano dalla parte dei dirottatori. Le prime richieste prevedevano il rilascio di 36 terroristi in carcere, tra cui un capo-terrorista, Sajjad Afghani, e 200 milioni di dollari. Dopo lunghi giorni e lunghe notti, il 30 dicembre vennero rilasciati tre prigionieri e ci fu un salvacondotto per i dirottatori tra Afghanistan e Pakistan a Quetta.
Durante il dirottamento passeggeri ed equipaggio rimasero sotto il controllo dei dirottatori, armati di Kalashnikov e coltelli: non sempre fu possibile per loro consumare i pasti o usare le toilette, a bordo c’erano anche persone con patologie croniche che necessitavano cure specifiche, e donne e bambini furono separati dagli uomini. A nessuno furono risparmiate diverse forme di violenza. Il bilancio finale fu di 1 morto e 17 feriti.
Il processo
Dopo il dirottamento la Indian Airlines inasprì ovviamente le misure di sicurezza contro la minaccia terroristica. Le indagini condotte dal Central Bureau of Investigation portarono all’incriminazione di 10 persone, tra cui 7 a tutt’oggi latitanti (con l’eccezione di Mistry Zahoor, ucciso in una sparatoria nel 2022). Gli altri 3 imputati, Abdul Latif, Yusuf Nepali e Dilip Kumar Bhujel, furono condannati nel 2008 all’ergastolo con l’accusa di aver procurato passaporti falsi ai dirottatori e averli aiutati a trasportare armi a bordo del velivolo. Nel 2020 si è però giunti all’assoluzione di 19 persone per l’accusa relativa ai documenti falsi, tra cui Abdul Latif.
La serie tv
Nel 2024 Netflix ha reso disponibile nel suo catalogo la miniserie dal titolo “The Kandahar Hijack: il dirottamento del volo Ic 814”: si tratta di un’opera tratta dal memoir “Flight Into Fear: The Captain's Story” di Devi Sharan, il coraggioso capitano e primo pilota che si batté per l’incolumità e la dignità dei passeggeri del volo durante il dirottamento.
La serie include scene molto dure, con le violenze e gli abusi che i dirottatori perpetrarono in
quella quasi settimana di terrore. Non di meno sono appassionanti anche le scene che raccontano i negoziati per il rilascio degli ostaggi, scene che gettano una luce sinistra sugli avvenimenti di quei giorni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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