Sappiamo ormai tutto delle cosiddette terre rare, materie prime fondamentali per le industrie elettroniche avanzate, compreso il settore militare, e necessarie per la fabbricazione di molti oggetti che utilizziamo ogni giorno, dagli smartphone ai tablet. Chi riuscirà a “dominarle”, ovvero a controllarne in maniera prevalente i processi estrattivi, di lavorazione e utilizzo, avrà buone chance di padroneggiare nell'economia mondiale. C'è solo un piccolo, grande, problema per l'Occidente: lo scettro delle Rare Earths appartiene, più o meno direttamente, alla Cina. Che, insieme alla Russia, può blindare il dossier con importanti conseguenze geopolitiche. Nel caso, poi, in cui Mosca riuscisse a vincere la sua guerra in Ucraina, e a mantenere il controllo delle riserve ucraine nel Donbass (una quantità considerevole), ecco che verrebbe a cementarsi un asse di ferro tra Pechino e il Cremlino.
Lo sprint russo in Ucraina
Le democrazie occidentali contano su terre rare e materie prime essenziali, come nichel, litio e alluminio. Il mercato di questi ultimi, ha scritto il World Economic Forum, è raddoppiato a oltre 320 miliardi di dollari in appena cinque anni, e si prevede che raddoppierà ancora nei prossimi cinque. Ebbene, l'Ucraina è uno dei primi 10 fornitori mondiali di risorse minerali, con una quota che copre circa il 5% del totale globale. Kiev può teoricamente contare su circa 20.000 depositi minerali che coprono 116 tipologie. Prima della guerra contro la Russia ne erano attivi 3.055 (il 15%).
Lo Stato ucraino è dunque un potenziale fornitore chiave di terre rare, tra cui titanio, litio, berillio, manganese, gallio, uranio, zirconio, grafite, apatite, fluorite e nichel. Nonostante la guerra, Kiev detiene le più grandi riserve di titanio in Europa (il 7% delle riserve mondiali), ed è uno dei pochi Paesi che estrae minerali di titanio, cruciali per l'industria aerospaziale, medica, automobilistica e marittima. Tra le altre cose, l'Ucraina ha anche una delle più grandi riserve confermate di litio nel continente europeo (stimate in 500.000 tonnellate), vitale per batterie, ceramiche e vetro, ed è il quinto produttore di gallio del pianeta (fondamentale per semiconduttori e LED). Una buona parte di questa ricchezza è localizzata nel Donbass, territorio per lo più conquistato dalle forze del Cremlino.
Il dominio della Cina
Se alla progressiva crescita russa nel settore delle terre rare uniamo la condizione della Cina, otteniamo un colosso a due teste inarrivabile per i governi occidentali. Pechino, infatti, può vantare il 36% delle riserve mondiali di questi materiali e controllare il 70% della fornitura globale dalle miniere in diversi Paesi; detiene inoltre il 77% della capacità di raffinazione delle stesse terre rare (dati di Now-Gmbh). "Alcune delle altre fonti di terre rare e minerali, come Vietnam, Russia e Brasile possono essere considerate alleate della Cina", ha quindi spiegato a VOA Lourdes Casanova, direttrice dell'Emerging Markets Institute della Cornell University.
Alle spalle della Cina troviamo, con un netto distacco, gli Stati Uniti, con poco più del 12% della produzione globale di metalli e terre rare, quindi il Myanmar con il 10,5% e l’Australia con il 10%.
Considerando che la Russia starebbe pensando di investire 1,5 miliardi di dollari nel tentativo di diventare il più grande produttore dopo Pechino entro il 2030, il predominio dei rivali del blocco occidentale rischia di rafforzarsi sempre di più. Soprattutto, come detto, se Mosca dovesse consolidare la sua presenza nello strategico Donbass.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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