Dopo quasi un anno di trattative, lunedì 18 settembre si tiene lo scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Iran con la mediazione del Qatar. L’accordo tra le due parti prevede il trasferimento nelle banche di Doha di sei miliardi di dollari di fondi iraniani, precedentemente congelati in Corea del Sud in base a quanto prevedono le sanzioni imposte dalla comunità internazionale al regime degli ayatollah. Le autorità iraniane hanno confermato attorno alle 13:30 l’arrivo del denaro e alle 13:45 i prigionieri statunitensi erano in viaggio per l’aeroporto di Teheran, dove li attende un aereo del Qatar.
L’annuncio è arrivato dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani, durante una conferenza stampa. Sono cinque i prigionieri che rientreranno negli Stati Uniti, quattro uomini e una donna. Tra loro, Saimak Namazi, l’uomo d’affati Emad Shargi e l’ambientalista 67enne Morad Tahbaz, che possiede anche la cittadinanza britannica. In cambio, Washington rilascerà cinque cittadini iraniani detenuti perché colpevoli di aver violato le sanzioni. Di questi, due ritorneranno nel loro Paese, uno si dirigerà verso una nazione terza non specificata e gli altri resteranno negli Stati Uniti.
Le autorità qatariote si dicono soddisfatte per il raggiungimento dell’accordo. “Questo risultato è positivo per entrambi i Paesi. Questo è un bene anche per la nostra regione, perché più risolviamo i problemi che ci circondano, più essa diventa stabile”, spiega ad Al Jazeera Nasser bin Hamad al-Khalifa, ex inviato del Qatar alle Nazioni Unite.
Si intravedono, però, le prima avvisaglie di un altro conflitto. Gli Stati Uniti, infatti, affermano che i fondi iraniani saranno custoditi su conti riservati e che potranno essere utilizzati solo per scopi umanitari, come acquisto di derrate alimentari e medicinali. Il presidente Ebrahim Raisi ha immediatamente contestato questa limitazione: “Quel denaro appartiene al popolo iraniano e al governo iraniano, quindi sarà la Repubblica islamica a decidere come utilizzarlo”. I diplomatici qatarioti sono più favorevoli a sostenere la posizione degli Stati Uniti, quindi si può ipotizzare che vi sarà un’altra opera di mediazione.
I cinque prigionieri americani erano detenuti nel carcere di Evin, la struttura della capitale iraniana nota anche come “Università”, per via della quantità di intellettuali e studenti lì rinchiusi. Costruita dallo Shah Mohammed Reza Pahlavi negli anni Settanta, la prigione è stata spesso criticata da gruppi di attivisti come Human Rights Watch per le ripetute violazioni dei diritti umani. Nell’agosto del 2021, diversi video postati online da un collettivo di hacker iraniani ritraevano le guardie intente a malmenare e maltrattare i prigionieri.
L’accordo non ha incontrato il favore dei conservatori americani. Secondo la corrispondente di Al Jazeera a Washington, i repubblicani e parte dell’opinione pubblica lo vedono come una concessione eccessiva da parte degli Stati Uniti, che potrebbe mettere in pericolo le truppe americane nel mondo e incoraggiare la detenzione di altri cittadini americani. Secondo l’amministrazione Biden, invece, l’alternativa sarebbe stata condannare i cinque ex prigionieri al carcere a vita. Inoltre, alcuni alti funzionari statunitensi confermano che Teheran rimane nemica di Washington e che presto saranno approvate nuove sanzioni.
Attualmente è detenuto in Iran anche un diplomatico svedese, in carcere da oltre 500 giorni per reati non specificati. Le autorità di Stoccolma ritengono che sia una conseguenza del peggioramento delle relazioni con la Repubblica islamica a seguito dei tre roghi del Corano avvenuti nel Paese scandinavo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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