Partiamo da un presupposto, ovvero l’unico dato certo in questa valle di notizie, smentite, ricostruzioni, ipotesi: la prima vittima della guerra è sempre la verità. Sempre. E non se ne può fare una colpa a nessuno. Gli eserciti raccontano ciò che fa loro gioco, visto che vincere la battaglia della propaganda conta più di mille nemici uccisi. E verificare sul campo i fatti quando esplodono bombe dal cielo non è mai così semplice. In più aggiungieteci l’immancabile lato umano, che trasforma ogni reporter in osservatore più o meno di parte, ed ecco che si ha il mix letale. La verità muore.
L’ospedale di Gaza City avrebbe tuttavia dovuto insegnarci almeno un principio cardine: in ogni caso, quali che siano le informazioni diramate dalle parti in causa, la prudenza non è mai troppa. Chi ha frettolosamente accusato Israele del raid sull’ospedale Al-Shifa ha poi dovuto chiedere scusa (leggi: New York Times). A colpirlo non era stata una bomba israeliana ma un missile della Jihad islamica che ha fatto cilecca. Le prove? Israele le ha fornite, i media anche, Hamas no e sostiene che i pezzi del proiettile si siano volatilizzati nel nulla. Puff. Spariti.
Cosa c’entra tutto questo con la “strage al campo profughi di Jabalia"? C’entra. Perché anche in questo caso il modo migliore per comprendere i fatti non è fermarsi al titolo, o meglio alla definizione di “campo profughi”, ma mettere sul tavolo tutte le informazioni. E poi valutare il merito.
Partiamo da Jabalia. Questa città a Nord della Striscia ha un’area che è appunto definita "campo profughi", fatto di case popolari, abitato da migliaia di persone, per citare Repubblica, "un accrocchio di edifici a molti piani attaccati gli uni agli altri e percorso da un reticolo di viuzze". Il che, al netto della definizione, lo rende un po’ diverso dalle tendopoli dei migranti che gli europei sono soliti vedere nelle immagini diffuse dai campi profughi delle isole greche.
Intorno alle 15 di ieri le agenzie hanno iniziato a riportare le notizie, fornite da fonti palestinesi, secondo cui il "campo profughi" sarebbe stato distrutto da un raid israeliano. Il ministero degli Interni di Hamas ha denunciato 400 morti, poi ridimensionati a una cinquantina mentre altre fonti parlano di 150 (e già questo dovrebbe far riflettere). Ayed al-Bazm, un portavoce del ministero, ha parlato di "sei bombe del peso di una tonnellata di esplosivo" con cui Israele ha completamente distrutto un quartiere residenziale nel centro del campo di Jabalia. In effetti le fotografie mostrano grandi crateri sul campo e le macerie di edifici crollati.
Israele ha negato l’attacco? No. Anzi: lo ha rivendicato. Precisando però che nel raid è stato ucciso il comandante del battaglione centrale Jabalia di Hamas, Ibrahim Biari, responsabile di aver diretto i membri delle forze d'èlite Nukhba nel massacro del 7 ottobre. Insieme a lui, sono andati a miglior vita altri terroristi presenti nei tunnel. "L'attacco ha danneggiato il comando di Hamas nell'area - ha fatto sapere l’Id - e la sua capacità di dirigere le attività militari contro i soldati dell'IDF che operano nella Striscia di Gaza". Il raid ha fatto crollare gli edifici "sotto i quali si trovava una grande infrastruttura di Hamas". La notizia trova alcune conferme. Secondo quanto riporta Gaza Report, i residenti di Jabalia avrebbero riferito che "pochi minuti dopo l’attacco aereo israeliano, il terreno sotto i loro piedi è collassato", che "sarebbe questo ad aver provocato la maggior parte delle vittime" e che i soccorritori avrebbero invitato i presenti ad allontanarsi a causa della "possibilità di esplosioni secondarie vista la presenza di munizioni nella zona". Affermazioni che, se confermate, darebbero credito alla versione israeliana della presenza di cunicoli militari sotto le abitazioni civili.
Cosa significa? Significa i miliziani di Hamas si nasconderebbero sottoterra facendosi scudo con le abitazioni dei residenti. Stupisce? Non esattamente. Proprio ieri un alto dirigente di Hamas, intervistato da una tv russa, ha ammesso che i cunicoli sotterranei non sono fatti per proteggere i civili ma solo i miliziani e che alla'incolumità dei residenti non deve pensare Hamas bensì le Nazioni Unite. Come a dire: a noi interessa solo la guerra santa, non i palestinesi. Inoltre, da giorni ormai Tel Aviv fa cadere migliaia di volantini sulle case dei palestinesi invitandoli a lasciare le zone di combattimento. L’appello a lasciare l’area è stato ribadito anche ieri, prima che un nuovo raid - questa mattina - colpisse nuovamente la zona del "campo profughi".
C’è infine da considerare un altro fattore. Nei giorni scorsi Israele aveva già colpito Jabalia, questa volta nella parte occidentale, distruggendo una zona trasformata in area per "l'addestramento e l’esecuzione di attività terroristiche". Per Tel Aviv sul luogo vi erano postazioni di tiro, tunnel per raggiungere la costa e una riserva di armamenti.
Vi sono stati scontri a fuoco, poi le forze aeree hanno distrutto tutto. Dalle fotografie satellitari diffuse dall’Idf si vede chiaramente il centro di addestramento da cui sono partiti i jihadisti del 7 ottobre. Era a pochi passi dalle moschee e da una scuola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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