A Bari, nella frazione di Ceglie del Campo, il gruppetto dei tre ragazzi, il cui capo ha 21 anni e gli altri sono minorenni, deve fare un esperimento, ma non con un fantoccio, troppo facile. Ci vuole realismo, bisogna conoscere l'odore della morte di un innocente per diventare adulti. Tutti sanno che in un casolare tra gli sterpi si rifugia la notte un indiano rovinato dalla vita e dal miraggio dell'emigrazione felice. Si chiama Singh Nardev, gentile, mite, vive di elemosina, fruga tra gli scarti che somigliano a lui: uno scarto, ma accidenti possibile che non si sappia riconoscere che in quel pezzo di carne che qualche volta sorride, e ha due occhi, c'è qualcosa che è prezioso come Dio, come tua madre, e tuo padre? O il piccino che vorrai avere da una donna? Esperimento riuscito, pistola funzionante, buona mira, bravi giovanotti. Bravi assassini. Presunti certo, emergeranno magari dal processo stati mentali incompatibili con la piena coscienza del male che si stava facendo, eccetera.
Ho raccontato questo fatto perché mi rifiuto di accettare come normale, fisiologica, pane per la statistica, la diffusione di una violenza giovanile che esplode ormai quotidianamente in sempre più abissali cime di stupidità e crudeltà. Ho voluto prendere sul serio un istante di stupore, che per fortuna mi è rimasto, e uscire dal torpore della consuetudine, sperando di trascinare anzitutto me stesso nella consapevolezza di quel che sta accadendo intorno a noi e risuscitare anche nei miei lettori un po' di ribellione e qualche domanda seria sulle nostre responsabilità e sui possibili rimedi.
Noto che dopo due o tre giorni in cui omicidi assurdi di diciottenni per una scarpa sporcata per sbaglio al bar o per un gioco mostruoso e scemo con un revolver trovato per strada sono approdati sulla prima pagina di tutti i quotidiani nazionali, perché hanno consentito esibizioni agli esperti di camorra e di napolitanitudine, stavolta nessun foglio nazionale ha scelto di mettere in vetrina questa notizia pugliese. In realtà poteva essere milanese, messinese o goriziana.
Sta accadendo, anzi è accaduto qualcosa a un'intera generazione. Nei giorni scorsi abbiamo registrato l'anniversario dell'orrenda tortura ed esecuzione di Giulia Cecchettin, e ho ammirato il padre di lei, devastato dal dolore ma che non ha provato odio per il ragazzo che aveva ospitato in casa come fidanzato della figlia. Ci sono stati altri casi di assassini senza perché, a Paderno Dugnano (hinterland milanese), nella Bergamasca. Si è cercato volta per volta di individuare la causa nell'ideologia del patriarcato, nella consueta ricerca di violenze subite nell'infanzia. Insomma: al solito dando la colpa alla società. Ma non tutta la società, bensì quella identificata con la gente comune, che vota in America Trump e in Italia Meloni, o si astiene per il sentimento di abbandono che prova, ed è perciò disprezzata dalle élite che, fregandosene della democrazia, comandano l'informazione e dettano la mentalità giusta da avere per essere al passo con la nostra epoca. Dalla crème intellettuale dei piani alti il rimedio sta in una battaglia ideologica per cui ci sono i puri, i progressisti, ai quali andrebbe dato il potere di purgare i giovani dai residui valori della tradizione, la quale sarebbe il vero mandante di mentalità razziste e maschiliste, omofobe e xenofobe, e degli atti conseguenti.
Se questa è la pretesa gaglioffa da suprematismo etico della sinistra, a destra il rischio è quello del fatalismo. Va così, è sempre stato così. Per favore, coltiviamo lo stupore. E non limitiamoci a chiedere interventi allo Stato, ma a noi stessi, persino in casa.
Fino a qualche tempo fa l'ho puro scritto, e non cito le mie frasi per pudore ero convinto che la criminalità giovanile, in fondo sempre fratricida, fosse più vecchia di Noè. Abele e Caino non erano pensionati al bar delle Acli, e così Romolo e Remo avevano ancora sulle labbra il latte della lupa. Più vicino a noi, abbiamo sperimentato che ogni decennio ha goduto della sua porzione di «gioventù bruciata». C'erano prati dove fiorivano bravi ragazzi, e in angoli oscuri spuntava la teppa, senza escludere che qui e là qualche imberbe creatura predatrice spuntasse inaspettatamente nelle famiglie perbene
a ricordarci il mistero del male. Tutto vero. Ma c'è stato un cambio d'epoca. Adesso è il tono medio dei rapporti tra i ragazzi, nelle loro serate fuori casa, persino nelle pause della ricreazione, a promuovere per oggetto di devozione il coltello preso in cucina, la forbice acquistata al supermercato, il pugnale a serramanico comprato per strada.
Colpisce il racconto di episodi di nessun interesse giornalistico per fortuna non tutti i casi di cattiveria tra ragazzi approdano al pronto soccorso che capita a tutti di ascoltare da insegnanti e genitori, zii e colleghi. Sono casi di bullismo e spicciola violenza quasi invisibile, ma diffusa come una malattia endemica. Hanno una caratteristica quei fatterelli: l'assenza di empatia, il non considerare l'altro qualcuno che andrebbe capito, ma qualcosa di inerte. Stupiamoci per favore, non consideriamo normale questa normalità da ebeti insensibili e perciò malvagi.
Non ho ricette. Aborrisco l'idea di un vaccino da inoculare per diventare tutti woke (se non sapete cosa vuol dire, pensate alla Schlein) grazie a qualche inserzione nel cervello di placche di intelligenza artificiale politicamente corretta. Mi rifiuto a questo punto di pronunciare prediche inutili, dato che non sono Luigi Einaudi e neppure Lilli Gruber.
Ma constato che questo contagio è cresciuto al quadrato e al cubo nella solitudine di case dove l'unico rapporto è con il cellulare, padri e madri assorti nei dialoghi con esseri assenti, e dove l'altruismo è retorica emotiva, e non la fatica di essere padri e madri e figli, consapevoli che ogni nostra scelta cambia il destino nostro e del mondo, e può farlo non dico un pochino più buono ma almeno un luogo dove asciugare qualche lacrima e pentirci dei torti fatti. Tocca tornare a insegnarlo ai figli, ai nipoti, a noi stessi. Un po' di stupore scoprendo che esiste la realtà fuori di noi, fatta di persone vive.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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