Addio Kabul

L'ultimo aereo italiano ha lasciato l'Afghanistan. Di Maio: "Evacuazione conclusa". Le testimonianze: "Sembravano non voler cedere mai pur di raggiungere la libertà".

Addio Kabul

Kabul addio. Della notte drammatica passata all'aeroporto della capitale afghana, durante le ultime, concitate ore dell'evacuazione, non dimenticherò mai la bambina quasi schiacciata fra la folla di afghani in fuga e la rete che la separava dalla libertà all'ingresso nord dello scalo presidiato dai marines. Vestitino rosso, non più di 10 anni, piangeva disperata e con la madre implorava di venire salvata dai talebani. Nella rete aveva scavato un piccolo varco per passare, ma non abbastanza grande. Poche ore dopo un kamikaze dello Stato islamico ha spazzato via, all'Abbey gate poco distante, le speranze di un popolo in fuga che credeva in noi.

Non potevo salvarla e anche sui volti marcati dalle guerre dei marines si capiva che era dura tenere a bada con i reticolati e sparando in aria la marea umana che sognava il mondo libero. I carabinieri paracadustisti mi hanno scortato lungo il muro attorno all'aeroporto di Kabul «assediato» da 20mila civili che non vogliono vivere nell'Emirato islamico. Dall'altra parte del muro una donna aveva alzato un cartello con lo stesso nome per chiedere aiuto. «È appena partito da Kabul il volo dell'Aeronautica Militare che riporterà in Italia, oltre ai civili afghani, anche il nostro console Tommaso Claudi, l'ambasciatore Pontecorvo e i carabinieri del Tuscania che erano rimasti ancora sul posto», ha scritto ieri su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. L'Italia è riuscita a evacuare 4.890 afghani, non solo interpreti e collaboratori, ma anche attivisti dei diritti umani, atleti e chi era vessato dai talebani. Purtroppo non tutti quelli che ci chiedevano aiuto. Abdul Ghafar è stato uno degli ultimi a imbarcarsi dopo essere rimasto per giorni nel canale della fogna che porta ad Abbey gate, l'unico punto di ingresso colpito dall'Isis. «Ho lavorato per gli italiani e la Nato - spiegava - se fossi stato preso dai talebani mi avrebbero ammazzato».

Sull'ultimo volo da Kabul era imbarcato il generale Giuseppe Faraglia, che fino all'ultimo ha guidato l'evacuazione con la task force di 81 uomini arroccata nell'aeroporto in costante emergenza. Non si riposava da giorni, ma aveva un guizzo negli occhi quando diceva in mezzo agli afghani salvati: «Li abbiamo tirati fuori dalla fogna, uno ad uno, donne, bambini, giovani alzandoli di peso per tirarli dentro. Sembrava che fossero in grado di non cedere mai pur di raggiungere la libertà». E poche ore prima aveva annunciato la strage: «L'intelligence britannica ha segnalato che l'Isis attaccherà con un commando suicida». Il generale aveva reclutato degli afghani portati in salvo, donne e uomini, che hanno scelto di tornare nella bolgia della «linea della morte», come la chiamavano, davanti al famigerato Abbey gate. Sul suo polso e quello dei volontari ha tracciato con un pennarello indelebile delle frecce, come segno di riconoscimento.

Assieme ai paracadutisti della Folgore e agli uomini dei corpi speciali andava personalmente al cancello che divideva inferno e Paradiso a portare dentro chi sperava nell'Italia. Non è riuscito a salvarli tutti. Dopo 20 anni una fine ingloriosa, con una domanda che pesa come un macigno: quanti sono rimasto indietro dopo gli oltre 100mila evacuati dal mondo libero?

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