Arrestato per bancarotta il teste usato da Woodcock per infangare Berlusconi

Arrestati tre componenti della famiglia Capriotti accusati, secondo la Procura di Roma, di aver dirottato il denaro della loro società facendola fallire

Arrestato per bancarotta il teste usato da Woodcock per infangare Berlusconi

Bancarotta fraudolenta per 15 milioni di euro. Arrestati tre componenti della famiglia Capriotti, il padre Enzo e i figli Angelo e Roberto, accusati, secondo la Procura di Roma, di aver dirottato il denaro della loro società facendola fallire deliberatamente. Un anno fa Angelo, 53 anni, romano, viene arrestato all’aeroporto di Zurigo dalla polizia svizzera con l’ipotesi di reato di corruzione. Secondo alcuni personaggi coinvolti in un giro di tangenti, l’imprenditore, socio del consorzio Svemark, avrebbe versato denaro per la costruzione di strutture carcerarie modulari a Panama. Un affare da 170 milioni di euro mai portato a termine. Non solo. Le parole di Angelo Capriotti, “per sentito dire”, secondo quanto ha scritto il Fatto quotidiano, sarebbero state utilizzate dai magistrati napoletani Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock per accusare l’ex premier Silvio Berlusconi di incontri a luci rosse organizzati da Valter Lavitola.

È Capriotti a sostenere davanti ai pm, sempre secondo il Fatto quotidiano, che “Lavitola mi disse che procurava ragazze mercenarie a Berlusconi a Panama e in Brasile”. È sempre Capriotti a dire di avere appreso dal suo socio in affari, Mauro Velocci, che Lavitola filmava i video “a luci rosse” degli incontri e che lo stesso Velocci ne aveva duplicato una copia. Adesso i finanzieri del nucleo di polizia tributaria hanno sequestrato un immobile in Brasile acquistato con il denaro sottratto alla società poi fallita. Secondo il procuratore aggiunto Nello Rossi e il sostituto procuratore Stefano Fava della Procura di Roma le indagini per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale vengono avviate nel 2008. I 15 milioni di euro “spariti”, secondo le stesse indagini, sarebbero stati sottratti ai creditori della S.I.E. Costruzioni Generali spa, fallita nel 2011, operante nel settore delle costruzioni. Gli indagati, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbero volutamente portato al fallimento 4 società del gruppo fra cui la S.I.E. stessa. Per non far cadere i sospetti su di loro i Capriotti avevano predisposto assetti proprietari e amministrativi di comodo utilizzando varie “teste di legno”, dei prestanome non collegabili direttamente a loro. Le Fiamme Gialle capitoline si sono concentrate sulla “disinvolta e spregiudicata gestione delle società” scoprendo l'intento, non riuscito, di creare una bad company da trasferire in Brasile cui attribuire tutti i debiti accumulati nel tempo attraverso la fusione di altre 5 società, gravate da debiti.

“Le indagini sono state svolte - spiegano al comando di polizia tributaria di Roma - anche mediante l’analisi di numerosi conti correnti bancari e la perquisizione delle sedi societarie, tutte facenti capo allo stesso indirizzo, una vera e propria sala di regia del gruppo di imprese”. I finanzieri hanno accertato numerosi prelievi dai conti correnti bancari intestati alla società fallita, per un totale di tre milioni di euro. Parte del denaro, poi, viene trasferito in Brasile su conti intestati ad Angelo Capriotti e da lui utilizzati per acquisti personali. Soldi appartenenti alla società fallita. Sempre secondo gli investigatori i crediti d’importo rilevante vengono ceduti ad Angelo Capriotti sebbene non fossero stati contabilizzati nel bilancio societario. Fra i movimenti di denaro e beni illegali la cessione di uno yacht la cui proprietà è stata trasferita da una società all’altra del gruppo senza il pagamento del prezzo di 450mila euro e senza valide ragioni economiche. Lo scopo? Deviare beni di lusso dalla massa fallimentare e dalle pretese (legittime) dei creditori. Ad Angelo Capriotti viene contestata anche una truffa aggravata per ottenere finanziamenti pubblici per più di 400mila euro grazie a fatture false, falsi contratti, false dichiarazioni liberatorie attraverso la predisposizione di una relazione tecnica che attestava la falsa realizzazione del 50 per cento di un progetto finanziato con denaro pubblico nonostante lo stesso Capriotti abbia provato a far ricadere le responsabilità su un proprio dipendente appositamente nominato amministratore della società che aveva ottenuto il finanziamento. Romano 53enne, Capriotti comincia la sua carriera come manovale nell’azienda del padre. Abbandonati gli studi crea un gruppo specializzato nelle gare pubbliche e negli appalti delle carceri.

Gli affari vanno bene fino al 2001 quando il nome di Angelo Capriotti spunta nella prima di numerose indagini. In seguito viene prosciolto per le due maxi inchieste sulle carceri. Nel 2013 viene arrestato su mandato della Procura di Napoli con l’accusa di corruzione internazionale nel filone carceri-Panama. Una “gola profonda”: Capriotti a quel punto rilascia dichiarazioni, finite in una seconda inchiesta in cui non viene indagato, per la presunta corruzione realizzata da Lavitola nei confronti del presidente di Panama Alberto Martinelli nel 2011 a beneficio di Impregilo. Nell’interrogatorio dell’aprile 2013 Capriotti, sempre per sentito dire, racconta: “Velocci mi disse anche di essere in possesso di video che riprendevano Martinelli intento ad assumere sostanza stupefacente. Io non ho però, mai visto tali video. So che Velocci si sentiva molto potente dopo aver svuotato i computer e i telefoni di Lavitola”. “La circostanza dei filmini - continua Capriotti - insieme alla esplicita richiesta di 22 milioni di dollari da parte di Martinelli quale tangente per la realizzazione delle carceri modulari, fu da me riferita all’ambasciatore Curcio, in un incontro alla presenza dello stesso Velocci che registrò il colloquio”. Capriotti è un fiume in piena: ai pm partenopei aggiunge particolari persino sul ruolo presunto di Lavitola nell’affare Montecarlo - Fini: “Lavitola e Velocci, in quell’occasione, mi dissero che Rogelio Oruna (imprenditore panamense) gli aveva messo a disposizione il proprio aereo per portare in Italia i documenti che provavano la riferibilità della casa di Montecarlo al cognato di Gianfranco Fini. Mi dissero anche che il viaggio aveva avuto un costo di 280 mila dollari”. Su “Dagospia” si racconta, infine, di un piccolo giallo con sfondo a “stelle e strisce”.

Angelo Capriotti, sempre secondo quanto sostenuto dallo stesso ai magistrati napoletani, sarebbe stato sottoposto a un fermo di polizia anomalo il 12 novembre all’aeroporto di Miami. Gli agenti del posto lo avrebbero lasciato in manette in una stanza dell’aeroporto per 72 ore per poi interrogarlo sui suoi rapporti con l’allora presidente panamense Martinelli e Berlusconi.

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