Le bugie di Fermo e il razzismo degli anti-razzisti contro la verità

E ora Boldrini e Boschi cosa fate? Se si guarda solo il colore si perdono di vista i fatti. Questo vale per il sesso, il genere, la lingua, la nazionalità, il reddito, perfino la religione. Non è razzismo. È il contrario. Quando un uomo uccide un uomo il colore della pelle non può essere l'unica variabile. Altrimenti si finisce davvero per peccare di razzismo, anche senza volerlo. Oppure la morte di una persona si sfrutta come strumento politico.

Nella brutta e drammatica storia di Fermo sappiamo che ci sono una vittima e un assassino. Quello che bisogna valutare e raccontare con onestà sono i fatti. Per capire. Amedeo Mancini si è comportato da razzista. Ha insultato un uomo e quell'uomo ha reagito. Su questo non ci sono dubbi. Emmanuel era con sua moglie e probabilmente si è spaventato. Ha preso un cartello stradale e ha aggredito Mancini. Anche su questo ormai non ci sono dubbi. Solo che a lungo si è faticato a credere a questa versione, nonostante ci fossero sei testimoni. Qui entrano in gioco la politica e l'ideologia e una sorta di razzismo involontario o antirazzismo strumentale. Ci sono sospese ancora le parole di Laura Boldrini e Maria Elena Boschi. La prima testimone mente.

È inattendibile. E anche gli altri cinque nascondono (...)

(...) qualcosa. Questo perché conta più il colore della pelle di chi parla che la verità. Non per bontà, ma per vantaggio politico.

Ma non è così che si sta dalla parte dei deboli e dei discriminati, perché se si mente o si preferisce non vedere per antirazzismo si finisce col fare il gioco dei razzisti. Si creano alibi e invece in storie maledette come questa nessuno deve averne, di alibi. Non è infatti in discussione la colpevolezza di Mancini, ma perfino lui ha il diritto processuale alle attenuanti. Non si contrastano le discriminazioni razziali cancellando il diritto, compreso quello alla difesa. Ora la moglie di Emmanuel, Chinyere, ha ammesso di essersi spiegata male. È vero, il marito ha reagito alle accuse disgustose con rabbia, aggredendo con un'asta di ferro. I testimoni avevano detto il vero. È bene subito dire che la precisazione di Chinyere non è un alibi per Mancini. Ma quello che deve far riflettere è la facilità con cui il politicamente corretto cancella ogni dubbio se deve scegliere tra un nero e un bianco. E questo danneggia soprattutto i neri. Perché comunque è una discriminazione. Quello che conta è l'uomo, l'uomo ucciso, non il suo colore. Boldrini e Boschi hanno voluto credere alla versione della vedova, sbugiardando i testimoni solo perché non rientravano nella narrazione che strappa applausi al loro elettorato. Applausi sulla morte. Tutta questa retorica purtroppo puzza di opportunismo e finisce per rendere poco credibili le battaglie di libertà di chi davvero si batte contro il razzismo, con i fatti, non con la retorica. Non c'è bisogno di caricare una storia già eloquente. In Italia c'è un razzismo di offese, di ignoranza, da bar e di cori da stadio. Emmanuel è stato offeso da un razzista, ma la sua morte non è un pestaggio. C'è una dose di fatalità, che non assolve affatto Mancini, ma di cui non si può non tener conto.

Ma c'è da spazzare via anche tutto l'apparato ideologico che ha voluto trasformare una brutta storia in una fotografia dell'Italia razzista. Razzista sì, ma in questo caso nei confronti della verità.

Salvatore Tramontano

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