Un disegno prima di morire: quel messaggio di David Rossi

Carolina Orlandi racconta, al di là delle indagini, quello che lei e sua mamma Antonella hanno percepito da David in quel momento difficile della sua vita e la dura realtà che sono state costrette ad affrontare quando si sono viste voltare le spalle dai vertici della banca, dai colleghi di David e dagli amici di una vita.

Un disegno prima di morire: quel messaggio di David Rossi

Ha sofferto in silenzio e lottato a voce alta. Da agosto del 2013 ha portato avanti la battaglia più difficile: quella che grida "Verità per David". Carolina Orlandi è la figlia di Antonella Tognazzi, moglie dell'ex manager del Monte dei Paschi di Siena che ha perso la vita nell'ormai lontano 2013. Ma quando parla di David è come se parlasse di una persona che, in qualche modo, è sangue del suo sangue. Dopo anni le sue parole sono diventate chiare. I pensieri nitidi. La storia che racconta per ripercorrere le vicende drammatiche che si sono succedute dal giorno della tragedia fino ad oggi scorre veloce come una poesia dolorosa. A muoverla in questa lotta che ancora non vede la parola fine è una solo certezza: per lei, David è stato ucciso.

Su questo, si legge dai suoi occhi, sarebbe pronta a scommettere. "Noi non siamo mai partiti dal complotto", ci racconta. "Io per prima, inizialmente, mi sono detta: 'Ogni parente di una persona che compie un gesto volontario di questo tipo non crede a suoi occhi'". Carolina ha cercato di farsene una ragione, passando i primi mesi dopo la morte di David a cercare di capire perché proprio lui avesse deciso di togliersi la vita. Poi, un giorno, tutto ha preso un’altra forma. "Abbiamo avuto i primi dubbi nell’agosto del 2013, quando ci hanno dissequestrato il materiale e abbiamo visto che c’erano delle cose che non tornavano". I video delle telecamere di sorveglianza, le mail in entrata e in uscita recuperate dai militari, dai dispositivi del manager senese, le immagini della scientifica che aveva immortalato l’ufficio del Rossi poco dopo il ritrovamento del suo corpo: tutte cose che hanno aperto quesiti inquietanti. Niente dà le risposte che la famiglia si aspetta. E le incongruenze, confermate dai periti incaricati dalla famiglia di approfondire le indagini, negli anni hanno spazzato via ogni dubbio e hanno convinto la famiglia che David, in quella notte di quasi sette anni fa, non avesse realmente deciso di abbandonarsi alla morte precipitando dalla finestra del terzo piano del suo ufficio.

RossiGrafica

Quando entriamo a casa di Carolina la stanza del suo salotto è ancora spoglia. Da poco tempo si è trasferita a Roma per motivi di lavoro. Prima di presentarci e iniziare a parlare ci avverte: "Scusa il disordine”. Ma, nel mezzo del caos vivo degli scatoloni, una parete azzurro pastello illumina la stanza. È ordinata alla perfezione. Tra gli scaffali ireggolari a riempire gli spazi vuoti del muro ci sono i disegni di David. Sul mobiletto sistemato a terra una penna rossa con incise due iniziali. “D.R”. A sinistra ancora un quadro. Arancione e ben fatto. La firma in basso a destra è quella di David Rossi. E poi, tanti libri. "Ho sempre sognato di avere una libreria bella e grande come la sua", ammette. In quella piccola stanza, ancora nuda, tutto parla di lui. Di loro. Noi, dopo qualche minuto, iniziamo a ripercorrere i fatti di una sera di tanti anni fa, quando Carolina finì a parlare con David proprio davanti alla grande libreria nel salotto della casa in cui vivevano assieme.

Pochissimo tempo prima che David perdesse la vita, una sera, a cena, la figlia si accorse di alcuni tagli sul polso del padre. In quei giorni l’uomo era preoccupato per questioni lavorative. “Lui era molto stressato - ricorda la ragazza - doveva difendere la posizione della banca in un momento in cui la banca non si poteva difendere. Perché era sotto gli occhi di tutti che ci fosse un ‘bordello’ là. Quindi io lo vedevo in casa che era strano. Ma sembrava quasi impaurito…”. Fu questo, quel giorno, a spingere Carolina a chiedere spiegazioni su quelle ferite a sua madre. La quale, poi, si rivolse direttamente al marito. “Quando gli abbiamo chiesto di spiegarci cosa fosse successo ha iniziato ad inventarsi cose che non stavano né in cielo né in terra", ci racconta. Poi, ad un certo punto, una frase che rimarrà scolpita nei ricordi della famiglia: “Sai com’è quando uno ha bisogno di tornare alla realtà deve sentire dolore”. L’uomo lasciò intendere di esseresi autoinflitto quei tagli e, sul momemento, la madre e sua figlia diedero credito a quella risposta. Se non che, dopo poco, David andò verso la libreria di casa e ad alta voce raccontò alla figlia di voler fare un disegno. Ma, sul foglio utilizzato da David, dopo pochi secondi, spunterà una frase indirizzata a Carolina: “Non parlare di questo né fuori né in casa”. Così, la ragazza gli chiese se in casa ci fossero le cimici, se lui pensasse di essere ascoltato. L’uomo annuì. Aveva questa convinzione, di essere controllato. Ma, nonostante questa certezza, perché preoccuparsene proprio dopo aver parlato dei tagli sul braccio? Se davvero l’uomo si fosse fatto del male da solo, chi e perchè non avrebbe dovuto saperlo?

A destare ulteriori sospetti sull’origine di quei tagli sarà, più tardi, anche la ferita stessa trovata sul cadavere di David. I periti hanno infatti osservato che quelle lesioni al braccio sono state provocate con una pressione che va dall’interno verso l’esterno. Un movimento opposto rispetto a quello che solitamente farebbe chi si autoinfligge dei tagli in quella parte del corpo. “Io non ho le prove e non posso dire se qualcuno abbia provocato quei tagli a David. Certo è che non abbiamo la certezza di cosa sia successo sul suo corpo da quel punto di vista", continua Carolina. Eppure nessuno mai ha condotto delle indagini per capire la natura di quelle ferite, nonostante fossero ancora presenti al momento della morte.

Magari qualcuno sapeva cosa stava succedendo a David in quel periodo della sua vita. Le persone che stavano a stretto contatto con lui, forse, sarebbero riuscite a spiegare con le loro testimonianze cosa potesse aver portato a quel giorno drammatico. Ogni singolo elemento sarebbe stato utile per provare a ricostruire, passo dopo passo, il quadro completo di quella vicenda. Eppure, nessuno ha mai proferito parola e da quel giorno la sede centrale della banca senese è diventata un covo di omertà. Un muro di silenzio.

"Nessuno tra i vertici della banca si è mai fatto vivo con noi. Non ci hanno mai supportato nella nostra battaglia. Non hanno neanche partecipato alla manifestazione per ricordarlo che io organizzai a tre anni dalla sua morte". Silenzio di tomba. “Giancarlo Filippone era uno dei suoi più stretti collaboratori. Eravamo, in realtà, amici di famiglia e quella notte del 6 marzo io arrivai con lui alla porta dell’ufficio di David prima di scoprire cosa fosse successo. Abbiamo passato insieme un momento che non ci scorderemo mai, eppure, adesso se mi incontra per strada abbassa lo sguardo". Filippone è l’uomo che appare nel video ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Si avvicina al corpo di David e dopo qualche secondo speso ad ossservare l’uomo inerme sull’asfalto esce dal vicolo senza nessuna visibile reazione. Carolina ancora una volta non può e non vuole pensare al peggio.

"Io non credo che Giancarlo abbia responsabilità dirette con la morte di David. Credo però che lui sappia qualcosa o che abbia visto qualcosa che non gli tornava. E lui ci sta convivendo con questo. Altrimenti io non mi spiego il motivo di tagliare i ponti con noi".

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