I corpi si sono soltanto sfiorati. Nulla di drammatico. Il senatore a cinque stelle Marco Croatti carica con voce e gesti, il triestino di Fratelli d'Italia Roberto Menia lo affronta e lo indispettisce. È mani che sbracciano, commessi che dividono, campanelle che risuonano. È quasi rissa e tanto rumore. È caos e soprassalti di tensione, perché il gioco della democrazia spezzata in certi attimi sembra perfino reale. Poi non succede nulla, ma i segni di qualcosa che non va ci sono. L'ostruzionismo è sempre legittimo e ci sta in queste giornate di bolgia sul «premierato». L'importante è che chi lo applica ne capisca il senso. L'opposizione sta dicendo alla maggioranza che il no è assoluto. Non ci sono le condizioni per discutere di riforme costituzionali. La sinistra ha mandato al macero sessant'anni di riflessioni sul perché non sarebbe una cattiva idea ridisegnare la forma di governo. Non c'è più traccia delle suggestioni sul premierato di due grandi costituzionalisti come Mortati e Duverger. Niente più bicamerali, come la Bozzi, la De Mita-Iotti o quella di D'Alema passata alla storia come patto della costata. Vanno in archivio anche i sogni di Segni e Pannella. Non c'è niente da fare. Non è più possibile parlare di certe cose senza passare per ungherese. L'ostruzionismo è la sintesi di tutto questo. Pd e Cinque Stelle hanno rigettato l'idea di ragionare insieme in Parlamento su qualsiasi riforma costituzionale. È un no netto e incondizionato. È un modo spiccio per dire alla maggioranza: non riconosciamo il vostro ruolo e consideriamo il verdetto democratico illegittimo. Le ultime elezioni sono considerate non una sconfitta, ma una rottura del patto costituzionale. Qualsiasi atto politico viene considerato a priori blasfemo. Il Parlamento non è il luogo del dialogo o del confronto, ma lo scenario di una battaglia che punta soltanto a cacciare gli impostori. Non è una cosa da niente. Il paradosso di questa storia è che per la maggioranza la scelta del premierato era un compromesso. A questo punto non si capisce per quale motivo Giorgia Meloni non debba cambiare modello e andare direttamente sul presidenzialismo. Il punto d'incontro non c'è più.
Stesso clima sulla riforma della giustizia. Non ci sono dubbi che non piaccia alla corporazione dei magistrati. Tanto è vero che hanno minacciato lo sciopero. I giudici che incrociano le braccia per protesta è qualcosa che suona un po' strano. Non sono tassisti e neppure metalmeccanici. Non scendono in piazza per questioni salariali. Non difendono una licenza che vale oro. La realtà è che i giudici non sono, perlomeno non dovrebbero esserlo, una corporazione. Non sono una lobby che fa pressioni sui parlamentari per approvare o bocciare una legge. La magistratura è un potere dello Stato. È un pilastro fondamentale di quella architettura che separa esecutivo, legislativo e giudiziario. È l'architrave del pensiero politico occidentale. La magistratura quindi non ha il potere di scrivere le leggi. Le fa applicare. Allora davvero viene la voglia di chiedersi se i magistrati possono scioperare contro la legge. È un cortocircuito. Quello che possono dire e ribadire è che questa riforma per loro è sbagliata. E fermarsi lì. Se poi la considerano una bestemmia costituzionale, una violazione dei principi della Carta, hanno tutti gli strumenti per dichiararla illegittima. I giudici della Corte Costituzionale sono magistrati.
Chi meglio di loro? Lo sciopero avrebbe invece un altro significato. Il potere giudiziario finirebbe per dire che non riconosce questo Parlamento. Lo delegittima. È come dire, ancora una volta, che il verdetto democratico non conta. Neppure questa è cosa da poco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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