Un tratto di penna sulla legge che regola la gestione della fauna selvatica per mettere al bando la caccia. È la proposta di 13 associazioni animaliste che ha provocato una vera e propria levata di scudi. E non solo fra i cacciatori. La norma in questione, la 157 del 1992, da un lato tutela la fauna selvatica come "patrimonio indisponibile dello Stato" e dall’altro regola l’attività venatoria. Abrogarla, quindi, significherebbe aprire un vuoto normativo pericoloso per gli stessi animali selvatici.
"Sarebbe un vero disastro per la biodiversità, si tornerebbe indietro di decenni, quando gli animali selvatici erano considerati res nullius, beni di nessuno, ed ognuno poteva catturarli, detenerli, venderli e via dicendo", fa notare anche l’Enpa, l’Ente nazionale protezione animali, che con un in un comunicato diffuso nei giorni scorsi si è dissociato dall’iniziativa delle altre sigle. Dall’altra parte della barricata, il presidente di Federcaccia, Massimo Buconi, parla di "clamoroso autogol" da parte dei proponenti.
"Venendo meno tutte le prescrizioni – ci spiega Andrea Reversi, consigliere provinciale di Milano della stessa associazione – si tornerebbe alla precedente legge, che regolava poco e male l’attività venatoria, permettendo di sparare a specie oggi protette e lasciando carta bianca alle Regioni che, a seconda dell’orientamento della giunta, legifererebbero a scapito dell’uno o dell’altro schieramento".
È d’accordo con lui Daniele Colognesi, presidente dell’Ambito Territoriale di Caccia Roma 2: "L’esercizio venatorio, piaccia o meno, è parte dell’ecosistema, visto che per molte specie, come il cinghiale, manca il predatore di livello superiore nella catena alimentare". "Il rischio – prosegue – è che, in assenza dei cacciatori, la sovrappopolazione di alcune specie selvatiche arrechi dei danni alle coltivazioni, al bestiame, o addirittura ai boschi, come succede con i caprioli che sono ghiotti di germogli e impediscono alle piante più giovani di svilupparsi".
Gli effetti collaterali della proliferazione incontrollata degli animali selvatici, notano i cacciatori, non riguardano solo le zone rurali. Ormai, ad esempio, i cinghiali si spingono anche all’interno dei centri cittadini, come testimoniano le immagini che arrivano dalla Capitale, non senza rischi per gli abitanti. La settimana scorsa a Castel Gandolfo, comune alle porte di Roma, un ragazzino di undici anni è stato morso da un ungulato mentre era in bici sul lungo lago. A volte, però, le incursioni possono sfociare anche in tragedia. Secondo i dati della Coldiretti nel 2020 si contano 90 incidenti gravi causati dall’irruzione degli animali selvatici sulle strade. Non solo.
Secondo Gabriele Tullio, presidente provinciale di Latina dell'ANLC (Associazione Nazionale Libera Caccia), "quelli che oggi propongono di raccogliere le firme per abolire la caccia sono ambientalisti di vecchio stampo che da vent’anni si battono per la reintroduzione del lupo sull’Appennino e non sono informati del fatto che la specie oggi ha superato i numeri che renderebbero necessario prendere in considerazione il contenimento, con conseguenti disastri per intere mandrie che vengono attaccate da questi predatori".
"Una crescita incontrollata delle specie selvatiche provoca danni economici non indifferenti", ci racconta anche Aurelio Ferrazza, imprenditore agricolo che gestisce un agriturismo sul lago di Martignano. Un’oasi naturale protetta immersa nella campagna a nord di Roma. Passeggiando nella tenuta ci mostra i segni lasciati da un branco di cinghiali. Veri e propri smottamenti del terreno che rendono impraticabile la spiaggia. "Rimetterli a posto ci costerà migliaia di euro, soldi che dovremmo sborsare di tasca nostra perché la Regione indennizza solo i danni alle colture. Per noi – si sfoga – è un problema non da poco, soprattutto in un periodo di crisi nera come questo".
Ma non tutti sono tenaci come il signor Aurelio. "Sempre più imprenditori, sfiniti dai danni provocati dalla sovrappopolazione degli animali selvatici, prendono decisioni estreme come quella di abbandonare i campi e chiudere l’azienda", ci spiega Andrea Virgili, agricoltore e membro dell’ATC Roma 1. "I danni per il territorio sono inimmaginabili, sia sul piano del possibile dissesto idrogeologico, sia della prevenzione degli incendi. Se non ci prendiamo cura noi del paesaggio fidatevi che non lo farà nessun altro, tantomeno le istituzioni".
Il coro che arriva dalle aree rurali è univoco: bisogna recuperare la sinergia tra cacciatori e agricoltori per una corretta gestione del territorio. "La caccia deve tornare ad essere un servizio e non un semplice sport una semplice attività ludico-ricreativa – conclude Reversi – e questo perché il mondo venatorio è l’unico che può contribuire, gratuitamente e con operatori formati, alla gestione faunistica".
"La contrapposizione tra mondo ambientalista e mondo venatorio è pura retorica, siamo i primi ad avere a cuore l’ambiente", ribadisce Tullio. I cacciatori, assicurano, hanno regole ed etica e sono parte integrante della cultura rurale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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