Conte disperato: "Non trovo responsabili"

Guai per palazzo Chigi: fallisce la compravendita di deputati

Conte disperato:  "Non trovo responsabili"

Aneddoto su quel rischio di elezioni anticipate a cui credono solo gli allocchi. Martedì scorso, dopo il dibattito sulla fiducia al Senato, Vito Crimi, reggente dei 5stelle, ha rimproverato, con un certo disappunto, Ettore Licheri, capogruppo dei grillini a Palazzo Madama: «Ettore, avresti dovuto rimarcare di più l'opzione secca: o Conte, o le elezioni». Licheri, che è un tipo fumantino, gli ha risposto a tono: «Non potevo farlo perché come tu sai il gruppo non è d'accordo». Vista l'aria, il reggente è diventato più accomodante: «Anch'io so che non andremo alle elezioni, ma bisogna far credere che il rischio c'è».

Il motivo è presto detto: l'unica arma che il premier ha in mano per arruolare responsabili in Parlamento è la paura delle urne. Un'arma scarica, ma appunto gli allocchi che possono cascarci nelle due Camere non scarseggiano. Tutt'altro. E la sua ultima speranza, ormai quasi vana, è che alla fine qualcuno di loro finisca nella rete. Anche perché senza quell'arma, se tutti si rendono conto che la pistola delle urne è caricata ad acqua, il premier è nudo. In realtà il bluff va avanti da due settimane, da quando, salito al Quirinale, il premier ha sondato il capo dello Stato sulla prospettiva delle urne e lo ha trovato freddo. E ora Conte ha solo questo logoro argomento di scuola o le solite lusinghe da suk mediorientale per tirarsi dietro i quattro gatti randagi che vagano per il Parlamento. Come gli aiuti per il Casinò di Saint Vincent che il ministro per l'Economia, Gualtieri, ha promesso al senatore Laniece dell'Union Valdotaine: lui è sempre stato nell'orbita della maggioranza, ma poco prima del voto in Senato aveva esternato qualche critica all'esecutivo («dopo un anno la mia fiducia nel governo si è incrinata», aveva detto) che l'intervento - e le risorse - del responsabile del Mef ha spazzato via.

Appunto, le minacce di Zingaretti, Orlando, Bettini sulle elezioni ormai assumono un'aria caricaturale. Pochi danno retta a questa menata, solo l'agenzia Dire vicina al Pd. È il prezzo che i piddini debbono pagare al premier: fare la figura dei fessi. Recitare cioè uno spartito scontato che punta sull'equazione psicologica: più parli di elezioni, più offri «chance» a Conte. L'unica che ancora non lo ha capito è Giorgia Meloni. Solo che l'equazione non funziona più e l'operazione «salviamo il Conte bis» comincia a far acqua da tutte le parti. Insomma, al momento, anche se non si può mai dire, di «allocchi» non ne sono finiti nella rete. Tant'è che in un momento di sconforto Conte, che professa sempre ottimismo, è arrivato a confessare a qualcuno del suo inner circle: «Finora è arrivato poco e niente: tanti nì, ma nessun sì. Speriamo nel domani».

Ma del «doman non vi è certezza» e di speranza si può anche morire. E sia i potenziali interlocutori, sia gli acquisiti non mandano segnali incoraggianti. «Ormai - confida il saggio Antonio Saccone, uno dei corteggiatissimi senatori dell'Udc - abbiamo capito tutti che al voto non si va. Resta da capire se si fa un governo come quello di prima, cioè con dentro i grillini e Italia viva; o un governo con una maggioranza più ampia». Ieri, un altro dei sogni proibiti di questa maggioranza, il senatore Gaetano Quagliariello, ha inviato in diretta una smentita divertita alla trasmissione Tàgadà, che lo aveva inserito tra i possibili arruolati da Conte: «Non so su quale indizi mi abbiate inserito in quell'elenco, ma io resto all'opposizione di Conte». Mentre Riccardo Nencini, segretario del Psi, che martedì aveva votato la fiducia a Conte, ha raccontato in un'altra trasmissione, L'Aria che tira, di aver inviato un messaggio al capo di gabinetto del ministro Bonafede, avvertendolo che se il ministro non farà una curva ad U mercoledì nella sua relazione sulla politica della giustizia, a cominciare dal provvedimento sulla prescrizione, gli voterà contro come sei mesi fa (fu l'unico, infatti, di Italia viva che lo sfiduciò a luglio).

La novità, quindi, è che ora c'è una data, mercoledì, in cui il governo potrebbe naufragare, o meglio in cui il premier rischia di vedere infilzato il suo ministro della Giustizia, il suo pupillo, visto che è stato lui a presentarlo ai 5stelle. Su un tema, il «garantismo», che è l'argomento che più rende incompatibile questo governo con quelle aree moderate che vorrebbe coinvolgere, possono, chessò, Nencini, l'Udc, o senatori di Forza Italia degni di questo nome, andare a braccetto con un premier che ha come primo consigliere e capo dei suoi pretoriani il profeta del giustizialismo nostrano, Tigellino-Travaglio? La verità è che l'operazione «responsabili», pardon «costruttori», messa in piedi da Conte è raffazzonata e grossolana, non tiene conto dei contenuti, dei valori, delle culture dei mondi a cui si rivolge, si tratti di liberali, socialisti e popolari. E, a parte qualche rarissima eccezione (vedi forzisti come la Polverini, Mariarosaria Rossi, Causin), i senatori della Repubblica, al netto della paura delle elezioni, hanno ancora un minimo di pudore.

Motivo per cui uno dei protagonisti di questa crisi, rivolge un consiglio benevolo al premier: «Farebbe bene a salire al Colle a rassegnare le dimissioni martedì sera, o mercoledì mattina prima del voto. Almeno può tentare di giocare un'altra partita». Un suggerimento che in fondo riappare sotto altre sembianze sulla bocca di Bruno Tabacci, uno degli organizzatori del nuovo gruppo «contiano» che, dopo un incontro con il leader dei 5stelle, Giggino Di Maio, parla di Conte ter. O, ancora, nei discorsi fatti da Franceschini con alcuni emissari renziani: «Vediamo quanta gente porta a casa Conte fino a martedì. Se ha il cesto vuoto e continua con il veto su Renzi, si cambia fase». Mentre nello spiegare agli intimi questa crisi, il leader di Italia viva racconta: «Io so che il Pd avrebbe voluto fare questa operazione all'ombra del semestre bianco. Io gli ho solo dimostrato che già siamo nel semestre bianco».

Insomma, visto che il raccolto di Conte in Parlamento è magro, si comincia a pensare ad un'altra stagione. «Siate compatti - è la raccomandazione con cui Renzi ha lasciato i suoi nell'assemblea dei gruppi dell'altra sera - e trascorrete un week-end tranquillo. Lasciate i social e il resto. E ci rivediamo martedì». E questo mentre anche nell'opposizione attenzionano il passaggio di fase. Ha confidato Silvio Berlusconi ad un coordinatore regionale: «Parlano di elezioni dopo Conte, ma noi, per il nostro senso di responsabilità verso il Paese, preferiremmo un governo istituzionale, di larghe intese, di cui potremmo anche far parte». E che il governo sia agli sgoccioli lo dimostrano anche le ultime nomine di emanazione politica nelle aziende pubbliche.

Ad esempio, la nuova responsabile Eventi di Cassa Depositi e Prestiti è una «casella» riconducibile al viceministro dello Sviluppo Economico, Stefano Buffagni. A cosa serva una responsabile degli Eventi a Cdp, soprattutto in piena pandemia, è l'ultimo «enigma» tardo grillino.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica