Così Covid colpisce anche il cuore: ecco cosa succede

Sono numerosi i sintomi che si hanno quando il virus colpisce il cuore e l'apparato cardiovascolare. La dottoressa Tiziana Claudia Aranzulla, cardiologa di fama mondiale, ci ha spiegato nel dettaglio cosa succede ed anche quali sono i danni "indiretti"

Elettrocardiogramma in paziente affetto da Covid-19
Elettrocardiogramma in paziente affetto da Covid-19

Anche il cuore non è immune dal Covid. Il virus attacca l'apparto cardiovascolare influenzando, a volte anche con gravi conseguenze, il nostro muscolo. In esclusiva per Ilgiornale.it abbiamo intervistato la Dottoressa Tiziana Claudia Aranzulla, che effettua le procedure di Cardiologia Interventistica presso l'Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino ed è considerata tra le 10 migliori cardiologhe interventiste del mondo. Ecco cosa ci ha detto.

Covid può colpire il cuore?

"Si. Non si tratta di un’infezione limitata all’apparato respiratorio, ma, specialmente nelle sue forme più severe, la malattia è associata ad un processo infiammatorio che coinvolge l’intero sistema cardiovascolare. È quindi fondamentale riconoscere le manifestazioni cardiovascolari del Covid-19.

Se sì, in che modo? Qual è il meccanismo?

Le modalità con cui il Sars-Cov-2 può coinvolgere il cuore sono:

  1. sindromi coronariche acute e infarto, prevalentemente da trombosi coronarica (quando un trombo, ovvero un “coagulo” occlude la coronaria), ma anche da dissezione coronarica spontanea (slaminamento delle tre tuniche – intima, media e avventizia - che compongono i vasi arteriosi incluse le coronarie)
  2. miocarditi (infezione/ infiammazione delle cellule cardiache) o miopericarditi (infezione/ infiammazione delle cellule cardiache e del foglietto che avvolge il cuore, ovvero il pericardio), si stima che fino al 7% delle morti per Covid-19 siano correlate a miocardite
  3. tromboembolia polmonare (trombosi e occlusione dei vasi polmonari con disfunzione del settore destro del cuore)
  4. aritmie cardiache, sia causate da stato infettivo-infiammatorio, alterazioni metaboliche, ipossia e acidosi, sia come effetto collaterale delle terapie necessarie per la cura del virus
  5. peggioramento di una cardiopatia precedente per l’insufficiente apporto di ossigeno al cuore, causato dalla polmonite Tutti questi quadri possono evolvere in scompenso cardiaco, shock cardiogeno e arresto cardiaco".

Quali sono le conseguenze per l’apparato cardio-circolatorio?

"Le conseguenze cardiache dirette (miocardite, trombosi, aritmie) e/o indirette (ridotto apporto di ossigeno secondario all’insufficienza respiratoria) possono essere scarsamente tollerate soprattutto se pre-esistono patologie cardiovascolari. I pazienti con malattie cardiovascolari sviluppano forme più gravi di Covid-19 e la mortalità è aumentata. In particolare, la mortalità per Covid-19 nei pazienti con malattia cardiovascolare è 11%, ovvero è quintuplicata rispetto ai pazienti senza malattia cardiovascolare, 7% nei diabetici e 6% negli ipertesi".

Quali sono i sintomi?

"Oltre ai sintomi respiratori tipici del Covid-19 (tosse, febbre, mancanza di respiro fino all’ insufficienza respiratoria e necessità di intubazione oro-tracheale), nel paziente con interessamento cardiaco i sintomi aggiuntivi includono dolore toracico, palpitazioni, peggioramento della mancanza di respiro fino ai segni dello scompenso cardiaco (con edemi periferici, cioè accumulo di liquidi nelle gambe) laddove la funzione di pompa cardiaca non è più adeguata a sostenere le esigenze del circolo".

Quali sono altri danni che il virus può provocare?

"Lo stato infiammatorio e la tempesta citochinica determinano uno stato protrombotico, cioè una aumentata propensione ad eventi trombotici in vari distretti vascolari dell’organismo Ma, oltre ai danni diretti del virus, ce n’è uno indiretto che può avere conseguenze ancora più gravi: il ritardo con cui i pazienti afferiscono in ospedale per timore del virus. In tutti gli ospedali di Italia e del mondo durante la pandemia è stato registrato un calo netto del numero di pazienti ricoverati con diagnosi di infarto e sindromi coronariche acute. I pazienti, infatti, proprio a causa della paura di recarsi in ospedale e contrarre il virus, spesso rinunciano alla cure mediche con conseguenze catastrofiche. In particolare per quanto riguarda l’infarto, quanto più precoce è l’accesso in pronto soccorso e l’erogazione delle cure, tanto più il muscolo cardiaco viene salvato e tanto maggiori sono le probabilità che il pazienti ritorni ad una qualità di vita uguale o superiore a quella che aveva prima dell’infarto. Se invece l’accesso alle cure è tardivo, il paziente, oltre a perdere cellule cardiache che muoiono non ricevendo sangue dall’arteria coronaria occlusa, può andare incontro a numerose complicanze. Durante la pandemia i ricoveri causati da complicanze tardive dell’infarto (che sarebbero evitabili!) come lo scompenso, lo shock e complicanze meccaniche (rottura di muscolo papillare, di setto interventricolare, ecc.) sono infatti aumentati".

Qual è la percentuale di pazienti con covid e interessamento cardiaco?

"L’insorgenza di scompenso cardiaco nei pazienti con Covid-19 può arrivare fino al 30-40%. Nei casi in cui viene riscontrato alla coronarografia che le coronarie sono sane, lo scompenso è causato da infezione virale diretta delle cellule cardiache, coinvolgimento infiammatorio del muscolo cardiaco, o può dipendere da una forma reversibile di cardiomiopatia da stress (danni cardiaci causati dallo stress correlato all’infezione da Sars-Cov2!). Le aritmie sono presenti nel 17% di tutti i pazienti ricoverati per Covid-19. L’incidenza di trombosi venosa profonda nei pazienti Covid, uno dei fattori di rischio principale per tromboembolia polmonare, è del 25%. L’incidenza reale di sindromi coronariche acute nei pazienti con infezione da Sars-CoV-2 non è nota, anche per il ridotto numero di pazienti ricoverati durante la pandemia (che sarebbero stati sottoposti in ospedale al tampone, anche per evitare l’esposizione non protetta degli operatori sanitari). In ogni caso un paziente con concomitante quadro di Covid-19 e SCA richiede un processo decisionale mirato a individuare e gestire prioritariamente gli scenari clinici più grave. Ad esempio, un paziente Covid con infarto miocardico verrà sottoposto immediatamente a coronarografia (sempre prestando la massima attenzione all’esposizione degli operatori sanitari), mentre un paziente con lieve ischemia potrà essere gestito con la terapia medica".

C’è una categoria di persone che colpisce maggiormente?

"I pazienti più a rischio di quadri severi di Covid sono i pazienti diabetici, ipertesi, più anziani, i maschi, gli obesi e, naturalmente, i pazienti con malattia coronarica e con malattie cardiovascolari e/o polmonari preesistenti. Anche la sedentarietà è un fattore di rischio per complicanze cardiovascolari da Sars-Cov-2. In queste categorie di pazienti occorre dunque una particolare attenzione. Anche i pazienti di colore o di etnia ispanico-latina sono più gravemente colpiti".

Ci sono esami strumentali che mostrano la presenza del virus nel cuore, o comunque nell’apparato cardio-circolatorio?

"Nei pazienti con Covid-19 si assiste al riscontro di elevazione della troponina e degli altri enzimi cardiaci nel 20-30% dei casi e questo riscontro è associato ad aumentata mortalità. L’aumento della troponina dipende da tante cause: l’infezione stessa e il conseguente stato infiammatorio e protrombotico, l’ischemia secondaria al ridotto apporto di ossigeno per la disfunzione respiratoria, l’ischemia causata dalla rottura di placche e trombosi coronarica, la miocardite, le aritmie. Pertanto, il riscontro di elevati valori di troponina va valutato nel contesto clinico, integrato con altri esami strumentali (elettrocardiogramma, ecocardiogramma, etc.) e monitorato se necessario (ripetizione del dosaggio di troponina) per valutare la tipologia e severità dell’interessamento cardiaco e indicare altri approfondimenti (coronarografia per identificare le occlusioni coronariche, risonanza magnetica per diagnosticare le miocarditi). È anche importante il dosaggio di D-dimero, poiché valori elevati sono stati associati ad aumentato rischio trombotico ed aumentata mortalità ed è anche importante il dosaggio degli indici per monitorare la compromissione cardiaca (NT-pro-BNP) e l’infiammazione (PCR, procalcitonina, IL-6, etc.). L’elettrocardiogramma nei pazienti Covid può mostrare diversi quadri clinici ed include anomalie non specifiche del tratto SDT e delle onde T, inversione delle onde T, alterazioni del segmento PR e del segmento ST, fino a franchi quadri di infarto ad ST sopra- o sotto-slivellato. L’identificazione diretta del virus nel cuore dei pazienti potrebbe avvenire solo tramite biopsia che, al di fuori di specifici protocolli di ricerca, non viene impiegata di routine nella pratica clinica".

C’è una terapia specifica per curarlo?

"Ad oggi, non è stata ancora validata una terapia farmacologica specifica per curare il virus e vengono usati vari farmaci in combinazione alcuni dei quali, peraltro, hanno effetti collaterali sul sistema cardiovascolare. I più usati sono:

a) Idrossiclorochina, è stato un farmaco molto usato anche nelle fasi iniziali della malattia, per prevenirne le forme più gravi. Il ruolo terapeutico è stato recentemente messo in dubbio da uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet, poi ritirato dagli autori. Si resta in attesa di studi più conclusivi.

b) Cortisone, per la sua azione antiinfiammatoria. In particolare il desametasone è il primo farmaco che ha dimostrato in un recentissimo studio di ridurre la mortalità per COVID-19 di un terzo.

c) eparina, soprattutto eparina a basso peso molecolare in profilassi antitrombotica, per la sua azione anticoagulante e antiinfiammatoria

d) azitromicina, un antibiotico con funzioni antivirali

e) Mix di antivirali (lopinavir/ ritonavir, ad esempio) nella fase acuta della malattia

f) tolicizumab, inibitore dell’interleuchina-6, la quale è un potente mediatore dell’infiammazione.

Poichè alcuni di questi farmaci (l’idrossiclorochina, l’azitromicina e gli antivirali lopinavir/ritonavir) possono causare aritmie cardiache anche gravi, è sempre importante che vengano valutati gli esami ematochimici (ad esempio gli elettroliti), che la terapia sia effettuata sotto monitoraggio medico e che venga effettuato l’elettrocardiogramma (in particolare la misurazione dell’ intervallo QTc) prima e durante l’assunzione dei farmaci. La terapia più “specifica” resta la somministrazione intravenosa di immunoglobuline da pazienti guariti da coronavirus. Attualmente, questo viene fatto nei casi più gravi che non rispondono alle altre terapie. Nei casi più gravi, oltre all’intubazione possono essere necessari sistemi meccanici di supporto cardiopolmonare (es ECMO: extracorporeal membrane ossigenation) per offrire ai pazienti in cui cuore e polmoni non sono in grado di fornire adeguata ossigenazione e perfusione degli organi e tessuti una chance di sopravvivenza".

Chi è già cardiopatico come deve comportarsi?

"Le regole igieniche (a partire dalle mani, ma non solo!), l’utilizzo della mascherina ed il distanziamento valgono ancora di più nei pazienti già fragili.

E’ importante mantenere un’ ottima aderenza alla terapia cardiologica in corso (non modificarla e non sospenderla!) ed in caso di sintomi recarsi in pronto soccorso senza procrastinare, ricordando l’importanza del fattore tempo per una cura e una guarigione adeguate".

Tiziana Claudia Aranzulla

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