Draghi sposa il rigore. E dice no a Salvini

Alla fine, anche Mario Draghi si è dovuto arrendere davanti ai numeri di Cts e ministero della Sanità

Draghi sposa il rigore. E dice no a Salvini

Alla fine, anche Mario Draghi si è dovuto arrendere davanti ai numeri di Cts e ministero della Sanità. Il premier, infatti, avrebbe voluto fare un passo in più verso una prospettiva di normalità, ben consapevole che il Paese inizia ad essere piuttosto insofferente per le chiusure e che il mese di aprile rischia di essere molto pesante. Per cittadini e attività produttive ancora costrette alle zone rosse o arancioni e, dunque, veri e terapie intensive, però, il tasso di positività è passato dal 5,3% di martedì al 6,8% di ieri (su 100 tamponi eseguiti, dunque, quasi 7 sono risultati positivi). Con alcune situazioni di particolare criticità, come quella della Lombardia - 10 milioni di abitanti sui 60 totali del Paese - che è la regione con il più alto tasso di letti occupati in terapia intensiva.

Uno scenario complessivo, insomma, che lascia poco spazio ai trionfalismi. E che, è stato il ragionamento fatto da Draghi, impone un «approccio pragmatico» e «fondato sulle evidenze scientifiche», le «uniche che contano davvero in questo momento». Così, poco dopo le otto di sera, il Consiglio dei ministri approva il nuovo decreto anti-Covid secondo il quale fino al 30 aprile l'Italia sarà solo zona rossa o zona arancione. Una normativa, dunque, che non contempla il giallo fino a dopo il primo maggio e che, di fatto, esclude la riapertura a pranzo di bar e ristoranti.

Non la prende bene la Lega. In mattinata Matteo Salvini aveva sperato di poter ottenere qualcosa in più, tanto da dirsi «d'accordo con il premier». «Se i numeri dicono rosso è rosso, se giallo è giallo», spiega il leader del Carroccio invitando a «prendere atto dei dati scientifici». Parole che seguono un faccia a faccia riservato con il mai troppo amato ministro della Sanità Roberto Speranza. E che forse vorrebbero essere il preludio di un allentamento che alla fine non arriva. Su eventuali cedimenti alla linea rigorista, infatti, fa muro proprio Speranza, peraltro come annunciato allo stesso Salvini nel loro incontro. E il ministro della Sanità trova pieno supporto in Draghi.

Per venire incontro al pressing della Lega, però, il Consiglio dei ministri inserisce nel decreto un meccanismo che consente di fare una sorta di «tagliando» alle misure restrittive, con il governo che «in ragione dell'andamento dell'epidemia e del piano vaccinale» si riserva «deroghe» alle zone rosse e arancioni. Insomma, un gigantesco premio «Gac». Perché è del tutto ovvio e scontato che, se i numeri dovessero improvvisamente scendere, il governo dovrebbe riconsiderare le restrizioni. Non è un caso che sul momento Salvini non gradisca troppo. Tanto che, dopo aver in mattinata sposato la linea Draghi, polemizza e parla di «scelta politica» che «non soddisfa». Nessuna tensione con il premier, ci tengono però a far sapere dal Carroccio. Anzi, Draghi e Salvini si sono sentiti e spiegati di persona. Così bene che, poco prima delle nove di sera, un'improbabile velina del Carroccio recita testuale: «Passa la linea Salvini, irritazione Pd, M5s e Speranza». Che - lo dice la cronaca della giornata - è l'esatto contrario dei fatti e della percezione di tutti. Vince la linea di Speranza che gioca di sponda con il Pd.

Come pure vince il ministro per gli Affari regionali Mariastella Gelmini (nel tondo), che per prima aveva proposto la mediazione politica del «tagliando», e il ministro per il Sud Mara Carfagna, che si è battuta per «colmare le lacune normative» del decreto sul fronte vaccinazione e scudo penale per il personale sanitario.

Perde la Lega. Non solo i ministri Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, rimba zati da Draghi mentre in Consiglio dei ministri chiedevano «una data certa» per le riaperture. Ma soprattutto perde Salvini.

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