Non è il primo e, ahinoi, non sarà l'ultimo. Pietro Pellegri, attaccante, dopo 10 presenze e 3 gol nel Genoa a meno di 17 anni (il 17 marzo), passa al Monaco per 31 milioni di euro, bonus compresi. Un trasferimento importante in termini economici ma non geografici, due ore di auto, quando avrà la patente. Alla saudade dovrebbe trovare rimedio. Il problema è un altro. Si parla tanto di «fuga dei cervelli», ma anche a «fuga dei piedi buoni» non siamo messi bene. Purtroppo non ci possiamo fare nulla, l'Italia è ritornata terra di conquista. Nel calcio siamo in piena epoca pre-risorgimentale, quando le potenze europee disegnavano i confini italiani come veniva bene a loro.
E il confine tracciato è ben chiaro. Se un campione, italiano o straniero tesserato per un club del nostro Paese, viene concupito da una società straniera, ricca per i diritti tv, per tradizione o per un presidente nababbo, il suo destino è segnato. Se ne andrà.
Ma qui c'è un aspetto diverso. Qui c'è il depauperamento giovanile e il rischio che il giovanotto che parte faccia una fine mediocre, da un punto di vista tecnico. Premessa: anche noi facciamo lo stesso, cacciamo all'estero giovani promettenti. Sia chiaro. Santi non ce ne sono. Però ognuno, proverbio docet, tira l'acqua al suo mulino. E che prendano i nostri ci dispiace.
In principio fu Giuseppe Rossi, a 17 anni dal Parma alla corte di sir Alex Ferguson. Il Manchester United ha forse la migliore ragnatela di scout esistente. Non sempre riesce a valorizzare il campione, Paul Pogba insegna. Il «polpo», a Manchester a 16 anni, venne poi abbandonato al suo destino. Esploso nella Juventus, che lo prese a costo zero (in realtà venne versato un milione per i buoni rapporti tra i bianconeri e sir Alex) è ritornato allo United per 104 milioni di euro. Rossi, malgrado la teoria di infortuni, ha avuto successo, ha scaldato platee, si è tolto soddisfazioni. Ma gli altri? Federico Macheda a 16 anni lascia la Lazio e va a Manchester con tutta la famiglia al seguito. Non sfonda e comincia una peregrinazione (verso il basso) che lo porta a Novara. All'Arsenal va, a 17 anni, Arturo Lupoli (dal Parma) ma anche per lui non ci sono sbocchi soddisfacenti. Ultimo domicilio conosciuto: la Fermana. Gianluca Scamacca, cresciuto nella Roma, finito a 16 anni al Psv Eindhoven, da un anno è tornato in Italia, al Sassuolo, dove ha collezionato 25' e 3 presenze. Anche Gaetano Monachello a 16 anni è andato a cercare fortuna all'estero, agli ucraini del Metalurg Donetsk, cominciando una lunga marcia che lo ha portato a una decina di trasferimenti in pochi anni. In questa sessione di mercato è finito all'Ascoli.
Stiamo dicendo che il giovane italiano all'estero non deve andare? No, certo, ma che per riuscire deve avere educazione, forza mentale e capacità di adattamento. Giuseppe Rossi, nato negli Stati Uniti, aveva nel Dna il senso del distacco e possiede un discreta cultura.
E c'è un altro aspetto. Anche quando il giocatore italiano all'estero ha successo, partendo con una breve ma discreta esperienza professionistica, come Marco Verratti, poi, quando viene convocato in Nazionale non riesce quasi mai a fare la differenza. I calciatori italiani hanno cominciato a muoversi molto dopo gli altri. Quando già inglesi, tedeschi, francesi, senza parlare dei sudamericani, avevano per destino il trasferimento in un grande club, spagnolo o inglese o italiano (ai tempi) i nostri non si muovevano. Bloccati dalla lingua e dalle condizioni: il nostro era ancora il campionato più ricco e l'Italia il posto più bello del mondo.
Quando un calciatore italiano parte, fa fatica ad ambientarsi. Quando torna fatica a ritrovarsi.
Nei ragazzi il problema si accentua. Potremmo dire che il calcio, con il suo ambiente ovattato frena la formazione del carattere e aumenta la nostalgia. Detto questo, «io speriamo che Pellegri se la cavi» e diventi come Mbappé.Roberto Perrone
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