Nell’attualità "social-dopata" dei tiktoker e dell’informazione tempo di clic, alle parole Achille Lauro tutti pensano al cantante romano con il debole per le mascherate come il nostro caro e vecchio Renato Zero. Eppure, nella “mitologia della patria nostra perduta”, come scrive una penna compiuta su PrimaBergamo.it, “Achille Lauro” era innanzitutto una delle più belle navi da crociera della storia contemporanea. Italianissima. Protagonista di tre eventi tragici che hanno affascinato per quasi tre decenni gli appassionati di storia: una collisione, il cataclismatico dirottamento che vedeva, contrapposti, da una parte Israele e Palestina, e dall’altra Stati Uniti e Italia, e infine il tragico affondamento al largo delle coste della Somalia in quel terribile 2 dicembre 1994.
Messo in cantiere nel 1939 e varato solo al termine del secondo conflitto mondiale nei cantieri d’Olanda col nome di Willem Ruys, il vascello in questione venne successivamente intitolato all’armatore napoletano Lauro, detto "O'Comandante" che lo aveva acquistato negli anni '60 per trasformarlo in nave da crociera. Misurava 192 metri e aveva una stazza di oltre 23mila tonnellate. Poteva ospitare 1300 passeggeri tra prima classe e classe turistica, ed era governato da un equipaggio di oltre 300 marinai e addetti alle specifiche mansioni. Secondo alcuni, che lo vezzeggiavano con l’appellativo di Regina dei Mari, era tra i “transatlantici” sebbene non fosse tale, più belli de mondo.
La sue prime rotte sotto il vessillo olandese riguardavano infatti la traversata dal "Vecchio Continente" europeo alla distante e selvaggia terra dei canguri. Era l’Oceano Indiano, non il freddo Atlantico che attraversava. Successivamente invece, dopo essere entrato a fare parte della Flotta Lauro, lo si vide per lo più solcare le acque del Mediterraneo nelle sue lunghe e apprezzate crociere.
L’esordio nelle cronache
Il primo incidente degno di nota, avvenne nel 1975, quando transitando per lo stretto dei Dardanelli, l’Achille Lauro entrò in collisione con la Yousset, un mercantile per il trasporto del bestiame che colò a picco in poco tempo. Destinando agli abissi e non al macello il quadrupede carico.
Ma dovranno trascorrere precisamente dieci anni da quella data: l'Achille Lauro diventa veramente nota alla cronaca mondiale, entrando nella storia. Era il 1985 quando viene dirottata - sotto la giurisdizione italiana - da quattro militanti del Fronte per la Liberazione della Palestina, il braccio armato ed estremista dell'Olp di Arafat. La richiesta dei terroristi, per lasciar procedere l'Achille Lauro sulla sua rotta, era quella liberare 50 prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Ne scaturì una crisi diplomatica che vide coinvolte Israele e Palestina, ma soprattutto Stati Uniti e Italia. Perché a bordo della nave venne ucciso un passeggero invalido di fede ebraica e cittadinanza americana Leo Klinghoffer, il cui cadavere viene gettato in mare, ancora seduto sulla sua carrozzella. L'episodio segnò insieme ai successivi eventi di Sigonella, uno dei massimi momenti di "crisi" tra il governo di Roma e quello di Washington. Ma questa è un'altra storia.
Quella che riguarda il nostro interesse ha inizio il 30 novembre del 1994. Quando a bordo della nave in navigazione al largo della Somalia, nel bel mezzo di una crociera tra Genova e il Sudafrica, divampò un incendio indomabile che sarebbe durato due giorni, prima d’essere spento dalle onde che il 2 dicembre 1994 vedono scomparire nelle profondità marine l’Achille Lauro.
Il quarto tragico incendio e le vittime
Non era la prima volta che a bordo della nave scoppiava un incendio. L’Achille Lauro, nel corso di oltre quarant'anni di servizio, aveva subito diversi lavori di ammodernamento, e questi avevano portato, almeno in un'occasione (1965) incendi e problemi di vario genere. In altre due occasioni, nel ’72 e nel ’81, gli incendi domati avevano messo a dura prova l’integrità strutturale della robusta e solida nave che non resistette però all’incendio scoppiato nel dicembre del ’92.
A bordo della nave, dove si trovava anche l’oramai noto chef Alessandro Borghese, giovanissimo, si salvarono più di mille anime tra passeggeri e membri d’equipaggio. Meno quattro: tra loro un anziano passeggero colto da un infarto e un passeggero olandese che, imbarcatosi in una delle scialuppe di salvataggio, venne colpito a morte da un detrito, parte di una trave, che si era staccata durante l’incendio. Ci fu anche un disperso, mai ritrovato. E una signora che perse la vita per complicazioni mentre era ormai in vista della costa africana.
Larga parte dei passeggeri vennero tratti in salvo da altre navi, alcuni dal vascello battente bandiera panamense Hawaiian King. Altre dalla fregata missilistica classe Maestrale Zeffiro (F577) della Marina Militare Italiana di rientro da una missione a Gedda. Alcuni passeggeri superstiti, tra cui la sfortunata signora, dovettero raggiungere il porto più vicino, a Gibuti sotto del personale medico della Marina italiana.
Il mistero del "mandante" e quel fuoco sospetto
Secondo la commissione d’inchiesta istituita dal ministero dei Trasporti “l’incendio fu dovuto al caso”. E non vi fu dolo. L’armatore della Mediterranean Shipping Company, Gianluigi Aponte, accordò con la compagnia assicurativa Murri International Salvage Freres “un compenso pari alla metà del valore di realizzo del relitto”. Mentre le Assicurazioni Generali risarcirono i passeggeri per circa 28 miliardi di lire.
Sebbene le operazioni di salvataggio si fossero svolte nel corretto adempimento delle procedure, e senza alcun panico tra i passeggeri, l’inchiesta e il processo che ne seguirono assolsero prima e cercarono di condannare poi il capitano e due ufficiali.
L’unico mistero nell’affondamento dell’Achille Lauro, riguarda un secondo e un terzo focolaio avvistati dai passeggeri sulle scialuppe e immortalati da alcuni video amatoriali, che mostravano delle fiamme a prora inassociabili all’incendio principale che causò l’affondamento della nave. L’incendio principale si era infatti sviluppato e propagato dalla sala macchine, sita al centro dello scafo. In tutto i focolai furono tre, di cui per lo meno due sospetti. Si parlò per questo, come in altri noti casi di affondamento - perfino nel caso del Titanic -, di una frode assicurativa e di un mandante misterioso. Nessuno, a distanza di ventisette anni, ne ha ancora trovato prova.
Il relitto, del quale venne immediatamente escluso il recupero per ragioni economiche, riposa sul fondo
dell'Oceano Indiano a una profondità di circa 5000 metri. Le sue ultime coordinate, 7 gradi e 14,1 primi di latitudine Nord e 51 gradi 19,8 primi di longitudine Est, lo danno a novantacinque miglia nautiche dalla costa Somala.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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