Il pilota non conosce l'inglese. E il volo si schianta vicino New York

Un Boeing 707, partito da Bogotà, è precipitato a Long Island. I morti furono 73, i feriti 85. Dopo alcuni anni, il governo americano, in accordo con la compagnia aerea colombiana, paga i danni ai superstiti e ai familiari delle vittime

Il pilota non conosce l'inglese. E il volo si schianta vicino New York

Sono le 13,10 del 25 gennaio del 1990, quando a Bogotà, in Colombia, un aereo decolla alla volta dell’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York. L’atterraggio, previsto per le 20,50, non avverrà mai: il volo Avianca 52, dell’omonima compagnia colombiana, precipita a Long Island, nei pressi del piccolo villaggio di Cove Neck, provocando 73 vittime, tra cui un bambino, e 85 feriti. Il velivolo, prodotto nel 1967 e acquistato dalla compagnia aerea nel 1977, al momento dell'incidente ha all'attivo 61mila ore di volo.

Le manovre sopra la Grande Mela

Quella sera, attorno all'aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York, una serie di circostanze sfavorevoli getta un’ombra oscura sul viaggio. Le condizioni meteorologiche sono avverse: nebbia, pioggia e wind shear (variazioni di vento improvvise di intensità notevole). I cieli sopra la Grande Mela sono affollati a causa dell’intenso traffico aereo. Nonostante il maltempo, da Washington viene dato ordine di non cancellare voli: i passeggeri non devono essere lasciati a terra. I controllori sono sotto stress: devono monitorare e gestire un traffico aereo molto intenso, con aerei pronti ad atterrare e altri sul punto di decollare. Il velivolo, un Boeing 707, aveva fatto scalo a Medellín, in Colombia, prima di decollare alle 15,08 verso New York. Durante il volo, le forti turbolenze e la nebbia fitta complicano l'avvicinamento all'aeroporto John F. Kennedy (JFK). Quando stanno per dirigersi verso lo scalo newyorkese, i piloti non hanno idea delle effettive condizioni meteorologiche del posto e non si preoccupano di informarsi. L'equipaggo è composto da 9 persone, sei assistenti di volo, il comandante Laureano Caviedes Hoyos, 51 anni, il primo ufficiale Mauricio Kolotz, 28, e l'ingegnere di volo Matias Moyano, 45.

Il capitano, impiegato presso Avianca dal 1967, non conosce bene la lingua inglese, tant'è che per comunicare con la torre di controllo si fa aiutare dal primo ufficiale, che gli traduce le parole in spagnolo. Quando contatta la torre di controllo, il 51enne non parla di emergenza e non lancia nessun mayday, così gli operatori non capiscono la gravità della situazione, spingendo i piloti a restare in quota. Proprio a causa del forte vento, l'aereo è costretto a compiere diversi giri in attesa di ottenere il permesso di atterrare. Dopo le 20, il comandante rassicura i passeggeri dell’imminente arrivo a destinazione, invitandoli a restare seduti con le cinture allacciate, ma quella sarà l’ultima comunicazione. Di lì a poco, inizia la corsa contro il tempo. L’equipaggio inizia a essere stanco, i minuti sembrano interminabili, ne trascorrono venti, per l’esattezza, dopo i quali l’aeroporto newyorkese JFK concede l’autorizzazione ad atterrare. I piloti iniziano a scendere di quota, ma il comandante non trova la pista e, mentre sorvola, una raffica di vento investe il velivolo, così il primo tentativo di atterraggio fallisce. A bordo, gli assistenti di volo e i passeggeri non sanno che il carburante stia per finire. Si respira nervosismo e impazienza, non ancora panico.

La dinamica dell'incidente e lo schianto

Avianca

I piloti così decidono di riprovarci una seconda volta, sorvolando per altri 25 minuti sui cieli di New York. A partire dalle 20,55 la scatola nera registra gli ultimi quaranta minuti in cui il velivolo sarà in volo. A quel punto, la torre di controllo informa i due piloti che l'aeroporto alternativo in cui poter atterrare è Boston, ma l’Avianca 52 non può raggiungerlo perché non ha abbastanza carburante. A 60 metri di quota, e a 4 chilometri dalla pista, l’aereo viene respinto da un'altra raffica di vento ed è costretto nuovamente a riprendere quota, ma è in questi momenti che il carburante si esaurisce del tutto. I motori iniziano a spegnersi, i passeggeri si accorgono di tutto, a bordo si scatena il panico. C’è chi urla, chi piange, chi si affida alle ultime, disperate preghiere, mentre l’unico rumore esterno, in assenza di quello dei motori, è l’ululato del vento che avvolge l'aereo nei suoi ultimi drammatici istanti. Alle 21,31 il controllore dice ai due piloti: "Ok, siete il numero due per l'avvicinamento". Klotz risponde: "Abbiamo appena perso due motori, abbiamo bisogno di priorità, per favore". Alle 21,34, il controllore cerca di contattare via radio il volo, ma dai piloti nessuna risposta. In quegli stessi istanti l'Avianca 52 arresta la sua corsa vicino il bosco di Cove Neck, a 32 chilometri dallo scalo newyorkese, schiantandosi a poca distanza da un’abitazione isolata. A chiedere i primi soccorsi sono gli abitanti del posto. I passeggeri senza vita sono ancora legati ai sedili, mentre i sopravvissuti chiedono aiuto con voce flebile. Sono 85 le persone che grazie alla velocità ridotta e a un impatto relativamente controllato, riescono a rimanere in vita. A salvarli è anche e soprattutto l’assenza di incendio, dovuta alla mancanza di carburante. Nel luglio del 1990, Avianca risarcisce con 75000 dollari ciascun sopravvissuto e i parenti delle vittime. Anche il governo degli Stati Uniti contribuisce al risarcimento con oltre 200 milioni di dollari.

Cosa emerge dalle indagini

Dopo la sciagura, l'indagine ufficiale del National Transportation Safety Board (NTSB) mette in luce una catena di errori umani e di comunicazione. Uno degli aspetti più critici è l'incapacità dei piloti di trasmettere chiaramente la situazione di emergenza ai controllori di volo. Il primo pilota, infatti, quando contatta gli aeroporti per chiedere l’autorizzazione a compiere un atterraggio di emergenza, segnala ai controllori di terra una "situazione critica e basso carburante", ma non utilizza il termine tecnico "emergenza carburante", e non lancia nessun allarme, fondamentale per ricevere priorità assoluta nell'atterraggio. Più avanti, l'NTSB dirà che la tragedia venne causata dalla mancanza di una terminologia comprensibile e standardizzata e che il disastro sarebbe stato evitabile con una migliore gestione della comunicazione e una pianificazione più accurata. Ma non è tutto. Tra i superstiti figura anche un'assistente di volo.

La donna riferirà agli inquirenti che dalla cabina di pilotaggio non è arrivata nessuna comunicazione sull'evolversi della situazione. Secondo gli inquirenti, se i passeggeri fossero stati avvertiti, si sarebbero preparati ad affrontare meglio l'impatto e la gravità delle ferite riportate sarebbe stata minore.

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