Il figlio di Totò Riina scrive un libro: "Dalle nottate davanti alla tv alle stragi"

Salvo Riina ha scontato la sua pena per associazione mafiosa (8 anni e 10 mesi). In un libro racconta la sfera privata dell'ex capo della mafia, arrestato il 15 gennaio 1993

Il figlio di Totò Riina scrive un libro: "Dalle nottate davanti alla tv alle stragi"

Salvo Riina, figlio 39enne del boss Totò, ha finito di scontare la pena cui era stato condannato (8 anni e dieci mesi). Dall'aprile 2012 vive a Padova in regime di sorveglianza. In un libro racconta suo padre. Frammenti di "vita normale", con le nottate passate davanti alla tv per seguire l'America's Cup. Un collage di ricordi che aiutano a ricostruire l'immagine privata del boss della mafia, arrestato il 15 gennaio 1993.

"Tra febbraio e marzo del 1992 - si legge sul Corriere della sera - passammo notti intere insonni davanti al televisore a seguire il Moro di Venezia gareggiare nell’America’s Cup. Papà preparava la postazione del divano solo per noi due, con un vassoio di biscotti preparato per l’occasione e due sedie piazzate a mo’ di poggiapiedi... Io non avevo ancora compiuto 15 anni e lui, Totò Riina, era il mio eroe".

Il 23 maggio 1992 è una data che segna la storia (assassinio giudice Falcone). Così Salvo ricorda quel giorno: "La tv era accesa su Rai1, e il telegiornale in edizione straordinaria già andava avanti da un’ora. Non facemmo domande, ma ci limitammo a guardare nello schermo. Il viso di Giovanni Falcone veniva riproposto ogni minuto, alternato alle immagini rivoltanti di un’autostrada aperta in due... Un cratere fumante, pieno di rottami e di poliziotti indaffarati nelle ricerche... Pure mio padre Totò era a casa. Stava seduto nella sua poltrona davanti al televisore. Anche lui in silenzio. Non diceva una parola, ma non era agitato o particolarmente incuriosito da quelle immagini. Sul volto qualche ruga, appena accigliato, ascoltava pensando ad altro".

Un'altra data tragica per il Paese è il 19 luglio 1992 (assassinio giudice Borsellino). La famiglia Riina si trovava al mare. "Fu uno di quei giorni - racconta Salvo - in cui mio padre preferì rimanere a casa ad aspettarci, sempre circondato dai suoi giornali che leggeva lentamente ma con attenzione. Negli ultimi mesi era diventato più attento nelle uscite in pubblico, anche se dentro casa era sempre il solito uomo sorridente e disposto al gioco". Al ritorno dalla spiaggia ancora la tv accesa, ancora immagini di morte, fuoco e fiamme: "Il magistrato Paolo Borsellino appariva in un riquadro a fianco, ripreso in una foto di poche settimane prima... Lucia, dodicenne, era la più colpita da quelle immagini. Si avvicinò a mio padre silenzioso. “Papà, dobbiamo ripartire?”. “Perché vuoi partire?” domandò lui, finalmente rompendo la tensione con la quale fissava il televisore. “Non lo so. Dobbiamo tornare a Palermo?”. “Voi pensate a godervi le vacanze. Restiamo al mare ancora per un po’”. Lucia scoppiò in una ingenua risata e lo abbracciò... E così restammo lì fino alla fine di agosto".

In entrambi i casi colpisce l'estrema freddezza del boss. I due delitti erano stati decisi da suo padre, ma Salvo di questo non parla. Si limita a raccontare i suoi ricordi di ragazzo. Faccia a faccia con il capo della mafia. "Non è competenza mia - osserva - dire se è stato il capo della mafia oppure no. Lo stabiliscono le sentenze, io ho voluto parlare d’altro: la vita di una famiglia che è stata felice fino al giorno del suo arresto, raccontata come nessuno l’ha mai vista e conosciuta".

Nemmeno una parola sulla crudeltà del padre. Ma Salvo chiarisce subito il motivo: "Non è quello che ho conosciuto io. Io sono orgoglioso di Totò Riina come uomo, non come capo della mafia.

Io di mafia non parlo, se lei mi chiede che cosa ne penso non le rispondo. Io rispetto mio padre perché non mi ha fatto mai mancare niente, principalmente l’amore. Il resto l’hanno scritto i giudici, e io non me ne occupo".

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