Per decenni molti non riuscivano a capire perché i giapponesi fossero quasi terrorizzati da una particolare parola della loro lingua. Tutto cambiò il 26 dicembre di venti anni fa, quando gli abitanti delle coste dell’Oceano Indiano si resero conto di quanto devastante potesse essere uno tsunami. Le enormi onde causate dal terremoto di magnitudo 9.1 al largo dell’Indonesia devastarono le coste di ben 14 paesi, inclusa la Somalia, lontana più di settemila chilometri. Se commemorazioni si terranno in tutti i paesi coinvolti, l’anniversario sarà celebrato con particolare solennità nei paesi colpiti più duramente dallo tsunami. Ricordiamo quindi quell’immensa tragedia, le conseguenze sui sopravvissuti e come molte nazioni rivierasche hanno usato gli aiuti internazionali per impedire che disastri del genere si ripetano in futuro.
Un lutto davvero globale
Se queste onde assassine non erano certo nuove nell’Oceano Indiano, ben pochi in Indonesia si aspettavano di vedere onde alte più di 30 metri, pronte a distruggere tutto quel che avevano di più caro. Alcuni dei sopravvissuti, intervistati dall’agenzia France Press, sembrano rivivere quotidianamente quella giornata orribile: “Spero di non vivere mai un momento del genere ancora. Ho imparato cosa vuol dire perdere un figlio, un dolore che non posso spiegare a parole. Mi sembra che sia successo ieri: ogni volta che mi ricordano lo tsunami, il sangue sembra scorrere via dal mio corpo”. A perdere la vita quel giorno, secondo il database globale Em-Dat, furono ben 226.408 persone, un numero reso colossale dalla mancanza di un sistema di allerta rapido, che rese impossibile evacuare i villaggi e le città a rischio.
Gran parte delle vittime, più di 160mila, si concentrarono sulla costa occidentale dell’Indonesia, in particolare nella provincia di Aceh, sconvolta da anni di guerra civile. Il peso della tragedia fu tale da rendere possibile la pace con il governo di Giacarta. Altrettanto severe le conseguenze nell’isola di Sri Lanka, dove mille delle 35mila vittime si trovavano a bordo dell’Ocean Queen Express, un treno passeggeri che fu spazzato via dalle onde anomale. Metà dei 5mila morti in Thailandia erano turisti stranieri, arrivati in Indocina per godersi il sole d’inverno: furono proprio loro a rendere lo tsunami una tragedia davvero globale. Cerimonie si celebreranno anche in Somalia, dove furono 300 i morti ma anche nelle Maldive, in Malesia e in Birmania. Per un momento, gran parte dell’Asia sarà unita nel ricordo di un lutto che ora sembra fin troppo grande.
Ricostruire per non dimenticare
Considerata l’immensa ecatombe, non c’è posto migliore per capire quale sia stato l’impatto profondo di questa tragedia di Banda Aceh. La punta nord-occidentale dell’arcipelago indonesiano offriva un paesaggio quasi lunare ai primi soccorritori. Molti dei giovani di oggi hanno perso buona parte della loro famiglia proprio il 26 dicembre di 20 anni fa. Ora le infrastrutture della provincia sono più moderne, con un sistema di allarme precoce che scatta ogni qual volta un terremoto importante avvenga in pieno mare. In molte delle 1.400 scuole pubbliche che furono spazzate via dalle onde anomale, si tengono esercitazioni regolari per mettere a punto le procedure d’evacuazione in ogni minimo dettaglio. Come racconta il reportage dell’Associated Press, alcuni degli insegnanti sono ben consci dell’importanza di queste esercitazioni, visto che sono loro stessi sopravvissuti allo tsunami.
Se gli studenti hanno sentito solo i racconti delle tre onde omicide che devastarono interi quartieri, il preside della scuola pensa che sia ancora più importante tramandare la memoria di quel giorno orribile per essere sicuri che non si ripeta mai più. Le esercitazioni, che avvengono il 26 di ogni mese, sono state un successo: “I giovani devono sapere cosa dovrebbero fare se arrivasse un altro tsunami. Ora sanno cosa fare, come mettersi al riparo ed evitare di essere confusi sul da farsi come successe vent’anni fa”. Lo scopo degli organizzatori è semplice: “Quando succederà il prossimo disastro speriamo che le vittime siano il meno possibile”. Alcuni, però, sono meno ottimisti: “Spero che i giovani non dimentichino cosa successe quando questo potente tsunami ci colpì. Ora che le infrastrutture sono state ricostruite e l’economia è tornata a tirare, è facile dimenticare quanto fu enorme quel disastro”.
Un'ecatombe del tutto evitabile
La domanda che ha perseguitato le vittime di questa immane tragedia è sempre la stessa: perché ci furono così tanti morti? L’approfondito reportage dei colleghi di Sky News prova a fornire qualche chiave di lettura per svelare l’arcano. Il disastro naturale più importante del 21° secolo lasciò di stucco i geologi di mezzo mondo: per la prima volta nella storia, un terremoto superiore a 9 gradi di magnitudine fu seguito secondo per secondo da una rete mondiale di sismometri. Ci volle solo qualche minuto perché gli studiosi si rendessero conto che si trovavano di fronte ad un evento tanto raro quanto devastante. I numeri sono impressionanti: la frattura nella crosta terrestre lungo un’antica linea di faglia fu la più lunga mai registrata.
Quella ferita sulla terra lunga più di 1.250 chilometri fu talmente potente da far innalzare in pochi secondi il fondo del mare di quasi 15 metri. La massa di acqua spostata fu tale da creare onde alte più di 50 metri in meno di un minuto che si muovevano ad una velocità inaudita. Nonostante l’epicentro fosse a qualche centinaio di chilometri in mare aperto, lo tsunami si abbatté sulla costa come una muraglia assassina, distruggendo quello che aveva di fronte per cinque chilometri, in quella che gli osservatori descrissero come una “valanga in verticale”. Lo tsunami giapponese del 2011 ha causato più danni economici e l’incidente nucleare di Fukushima ma, nonostante questo, il costo in vite umane fu incredibilmente inferiore rispetto a quello di sette anni prima.
Lezioni pagate a caro prezzo
Sono stati scritti libri sulle cause di questa ecatombe ma una cosa è certa: i paesi coinvolti hanno imparato queste lezioni, prendendo esempio dai sistemi messi a punto in Giappone, paese dove gli tsunami sono tristemente comuni. Il direttore generale della Croce Rossa dello Sri Lanka non ha dubbi: “Se succedesse domani, non vedremmo sicuramente quel numero di morti e feriti”. Uno dei primi medici ad arrivare all’ospedale di Kanthale nel 2004, descrive i corridoi pieni di cadaveri e le orribili ferite dei sopravvissuti, alcuni dei quali ebbero bisogno di 400 punti di sutura. “Nessuno nel paese sapeva come reagire ad un disastro del genere, non avevamo un sistema preposto a queste evenienze, ora ce l’abbiamo. La cultura è cambiata”. In questi 20 anni i sistemi di allarme precoce sono stati messi a punto come i depositi di materiali d’emergenza e, in generale, un sistema pensato per minimizzare le conseguenze di un disastro.
Le lezioni dello tsunami di Natale hanno influenzato anche le organizzazioni non governative e la cooperazione globale. Poco alla volta si è passati dalla logica degli aiuti a pioggia ad azioni più mirate, pensate per avere un impatto diretto sulle comunità locali, facendo in modo che siano coinvolte direttamente nella difesa del loro territorio. David Peppiatt, un dirigente della Croce Rossa inglese, dice che “le organizzazioni non governative internazionali sono cambiate; ora orientano i propri sforzi nelle azioni migliori per ridurre la severità di un disastro”.
La speranza, quindi, è che i 20 anni passati dal disastro naturale più grande del nuovo millennio siano serviti a rendere più efficace la risposta alla prossima calamità. Non servirà a consolare le migliaia di familiari che piangono ancora i propri cari, ma potrebbe essere una conseguenza positiva di quella giornata marchiata a fuoco nella memoria di tutti noi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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