Chi oggi voglia capire in che modo sta ora evolvendo questa Italia declinante è costretto, ogni tanto, a visitare il sito di Beppe Grillo, dato che il comico genovese interviene spesso su questioni cruciali della politica industriale nazionale, con il piglio di chi sa di poter condizionare in maniera assai diretta le decisioni del Palazzo.
Ieri Grillo ha espresso la sua opinione su Telecom e ha trovato subito una sponda, peraltro, nelle dichiarazioni del premier. La logica è quella che guarda all'economia ritenendo che in passato abbiamo avuto investimenti di Stato non oculati, che ora a causa del lockdown all'italiana abbiamo bisogno di rilanciare un Paese in ginocchio e che l'unica via è, di nuovo, quella della spesa pubblica. Da qui la necessità di costruire un ulteriore interventismo, il quale utilizzi i soldi sottratti ai cittadini per destinarli a progetti di modernizzazione a cui i privati non pensano.
Ovviamente, la borsa ha reagito bene, perché il segnale lanciato è stato chiaro: quei privati che investiranno su taluni titoli di borsa si troveranno inondati di denaro pubblico. Chi prima arriva, più incassa. E colpisce dovere constatare che sia il proprio il movimento che aveva fatto dell'onestà la propria bandiera a rilanciare questo immondo incrocio tra Stato e privati, tra i soldi ottenuti con il prelievo fiscale e la brama di quegli avventurieri che non amano la concorrenza, dato che preferiscono monopoli e sovvenzioni. Ma c'è di più.
Quando si parla di Telecom, tutto gira attorno al controllo della rete fissa, considerata a torto o a ragione una gallina dalle uova d'oro. Poiché si ritiene non agevole né economico realizzare una seconda autostrada telematica parallela, chi controlla le vecchie linee si considera al centro del mondo. E però le cose sono assai complicate.
Alla fine, a ben guardare, il ritorno di Telecom in mani pubbliche rischia di assomigliare al salvataggio di Alitalia molto più che non alla conquista di una rendita illimitata. E questo perché esistono i cicli politici e gli appetiti contrapposti, mentre mancano regole definite e l'arbitrio domina il tutto. Oggi Grillo pensa di mettere le mani sulla rete italiana, ma non è detto che questa preda rimanga a lungo nelle sue mani. Per giunta, in un mondo in cui abbiamo un gran numero di società private (nella telefonia) e lo stesso vale per le compagnie low cost (nel trasporto aereo), agli anni Sessanta non torneremo più di sicuro. E non sarà lo statalismo stantio dei Cinquestelle a distruggere la nostra possibilità di comunicare e viaggiare.
Sicuramente, verrà sprecata una grande quantità di soldi, ma si può legittimamente sperare che alla fine le imprese e i consumatori anche stavolta sapranno reagire dinanzi a questa ennesima Gioia Tauro, a questa ulteriore Alfasud.
L'operazione insomma è insensata, ma la Telecom odierna non è più la Sip d'antan: molto è cambiato e indietro non si torna. Solo quanti ci governano sono rimasti prigionieri del passato, ma c'è da sperare che presto tornino alle loro precedenti occupazioni.
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