Non si può che essere seriamente preoccupati per il futuro della democrazia nel nostro Paese e per i segnali di un'inquietante deriva antidemocratica già in atto. E non si può che essere indignati al pensiero che il governo stia mettendo in fuorigioco valori costituzionali fondanti e diritti inviolabili della persona. Gravissimo ciò che sta avvenendo, mai successo in settant'anni di storia repubblicana. Partiamo dal prerequisito che la democrazia è un privilegio collettivo straordinario che non deve mai essere dato per acquisito per sempre. E che è, dunque, da difendere e da tutelare prima che diventi carta straccia.
Sotto attacco è, innanzitutto, il ruolo del Parlamento, motore e anima di ogni democrazia che si dica parlamentare. Non c'è bisogno di essere costituzionalisti per rendersi conto del pericolo di un Parlamento insignificante. Idea ben espressa in passato da Beppe Grillo e, più o meno esplicitamente, fatta propria dal Movimento Cinque Stelle. Per loro una piattaforma ben funzionante, a gestione privata, potrebbe, per molti aspetti, sostituirsi all'attività parlamentare. Pensavamo fossero solo affermazioni deliranti di un comico e, invece, prefiguravano ciò che è sotto gli occhi di tutti. Un Parlamento estromesso nelle sue prerogative costituzionali di controllo e di indirizzo politico, basti pensare che ieri non gli è stato neppure dato il potere di esprimere un voto dopo le dichiarazioni alle Camere del presidente Conte.
Davvero incredibile una gestione dell'emergenza a colpi di Dpcm, cioè di decreti del presidente del Consiglio dei ministri, nel più assoluto dispregio dell'osservanza dei principi basilari che impongono - per limitare i diritti fondamentali, come per esempio la libertà personale (art. 13 Cost.) - addirittura la riserva di legge assoluta.
Ovvio che la salute sia un bene fondamentale da tutelare. Ma la protezione di essa non può non essere coniugata con la piena garanzia di tutti gli altri diritti fondamentali della persona. Non esistono «gerarchie» di valori costituzionali, come ci ha insegnato la Corte costituzionale nella famosa sentenza n. 85/2013 sul caso Ilva di Taranto, proprio a propositi del conflitto tra diritto alla salute e diritto al lavoro. La tutela dei diritti deve essere «sistemica», diversamente si verificherebbe «l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette».
Questa imprevista emergenza del virus ha slatentizzato un'inquietante e quanto mai pervasiva alterazione delle più elementari regole democratiche che abbiamo visto attuata nel ventennio fascista.
La vicenda dell'app governativa o, in alternativa, l'imposizione del braccialetto, per tracciare gli spostamenti delle persone, coniugati ai dati sensibilissimi della salute, ne è esempio eclatante.
Giganteschi i problemi che si aprono in punto di tutela della privacy. Nessuno ancora ha spiegato chi sarebbero i soggetti detentori dei dati, come i dati verrebbero acquisiti, chi dovrebbe conservarli, che uso se ne potrebbe fare, che durata di vita avrebbero, quali procedure per cancellarli e garantire il diritto all'oblio, chi garantirebbe della sicurezza dei software, e altro ancora.
Pericoloso che il modello governativo di riferimento per il contenimento del contagio sia assimilabile ai liberticidi sistemi asiatici, dove non si conosce la democrazia ma la sottomissione incondizionata da parte dei cittadini in un clima di paura. A eccezione di qualche isolata voce, non si sono sentite posizioni critiche a questa deriva illiberale. Dove sono finite tutte le «anime belle» della sinistra che animavano i talk show discettando di diritti inviolabili e non negoziabili? Da loro un silenzio-stampa.
Ma sarebbe,
altresì, preoccupante per il futuro della democrazia ammettere che anche gli italiani siano già pronti a svendere, senza repliche, a fronte di un'iniqua posizione governativa, libertà fondamentali così faticosamente conquistate.
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