Attendono da oltre sette giorni l'esito dei tamponi a cui sono stati sottoposti alcuni agenti di polizia penitenziaria in servizio nell'istituto di pena di Lecce, in Puglia. "Una vergogna" commenta il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Si tratta di dodici donne e tre uomini. "Ancora una volta l'inadeguatezza delle istituzioni nell'affrontare delicate questioni sanitarie sta penalizzando dei servitori dello Stato che, invece di essere tutelati in questa battaglia al Coronavirus, oltre che essere costretti a combattere senza alcun mezzo di difesa, vengono pure abbandonati al loro destino". A scriverlo, in una nota, è il segretario nazionale del Sappe, Federico Pilagatti, che spiega meglio cosa sta accadendo nel carcere di Lecce in particolare.
Il 12 marzo scorso una detenuta si è sentita male avvertendo i sintomi del Covid. La donna era stata condotta in carcere pochi giorni prima, è stata soccorsa dal personale di polizia penitenziaria femminile e dai medici, le è stato fatto il tampone e l'indomani è stata ricoverata all'ospedale "Vito Fazzi" perché dichiarata positiva.
"Non hanno avuto la stessa fortuna le poliziotte che sono venute a contatto con la detenuta - ha sottolineato nella nota Pilagatti - messe in quarantena a casa loro a contatto con i familiari senza sapere se sono state contagiate o meno. A questo punto l'efficiente macchina sanitaria che ha permesso alla detenuta di ricevere tutto e subito, si è ingrippata nel momento in cui doveva assistere le poliziotte, chiaramente molto preoccupate. Così, sei giorni dopo, è stato fatto loro il tampone per verificare la positività o meno al virus. Oggi, 26 marzo (tredici giorni più tardi) le poliziotte non conoscono ancora alcun esito.".
Oltre alle donne, ci sarebbero anche tre poliziotti in attesa dei risultati del tampone e il sindacato annuncia che presto presenterà una denuncia alle autorità competenti "perché è inaccettabile che prima si costringono i poliziotti a lavorare senza alcuna protezione e poi ci si disinteressa della loro sorte".
Quello dei dispositivi di sicurezza è, infatti, un problema già sollevato dagli agenti penitenziari che già qualche giorno fa stavano valutando l'idea delle dimissioni di massa perché erano costretti a lavorare senza mascherine e guanti. Il problema è a livello nazionale. Poi qualcosa si è mosso e sono state distribuite le prime mascherine, anche se non bastano.
Così c'è l'impegno di alcuni volontari, come ad esempio quelli dell'Unitalsi di Potenza che, dopo aver cucito in casa centoventi mascherine per l'ospedale dove c'è stato il primo decesso per Coronavirus in Basilicata, ora si sono messi all'opera per cucirne altre per il carcere minorile di Potenza (sia per il personale che per i ragazzi detenuti).si pur sapendo della gravità e delicatezza della situazione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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