La legge della coalizione

Non è mai stato facile. I governi non nascono da soli e non c'è un protocollo, uno schema, un algoritmo che mette i nomi nelle caselle giuste

La legge della coalizione

Non è mai stato facile. I governi non nascono da soli e non c'è un protocollo, uno schema, un algoritmo che mette i nomi nelle caselle giuste. Non esiste neppure la perfezione. È un lavoro sporco, di tentativi ed errori, di veti, pressioni, sponde e carambole, rilanci, bracci di ferro e qualche bluff. È quello che avviene dopo le elezioni, quando non c'è un partito solo al comando e bisogna fare i conti con gli alleati. È il sale della democrazia italiana, dove ogni vittoria ha un limite, una compensazione, un resto da lasciare a terra.

Non è roba di ieri. Accadeva con le correnti della Dc e il pentapartito. È successo a Berlusconi con Bossi, Fini, Casini e Follini vari. È capitato a Prodi con Bertinotti e Mastella e gli infiniti frammenti della sinistra. È lo spirito delle coalizioni, dove nel bene o nel male sono tutti indispensabili, perché se togli una tessera cade l'intero castello. È la legge politica dei numeri: non basta contarli, ma bisogna pesarli. È quello che sta accadendo e in fondo non c'è neppure tanto da stupirsi. È meglio chiarirsi adesso che portare troppe incomprensioni lungo il cammino. Il viaggio è già abbastanza periglioso. Meloni, Berlusconi e Salvini non hanno ancora risolto l'equazione della maggioranza. Non c'è la soluzione. Non c'è ancora l'accordo finale sui presidenti di Camera e Senato, i nomi di La Russa e Molinari si accendono e si spengono e tutto è influenzato dalla scelta dei ministri. Ogni cosa è collegata.

È chiaro che ognuno dei tre protagonisti ha un'aspettativa, con due o tre punti fermi. È lì che si crea lo stallo. È necessario trovare un punto di caduta. I governi non sono mai come uno li pensa. Neppure Draghi, tecnico, con una maggioranza atipica e benedetto dal Quirinale, è riuscito a disegnare la sua squadra dei sogni. Si è ritrovato con ministri che non avrebbe segnato su nessuna carta. Quando c'è da mettere su un governo politico, la risorsa più utile è la flessibilità, non segnare confini e guardare all'orizzonte.

Questo governo non deve solo partire, ma andare avanti, con l'ambizione di arrivare a fine legislatura. L'impresa è già di quelle straordinarie, perché c'è una guerra dopo la pandemia, perché c'è una crisi energetica mai vista, perché c'è paura, rabbia, disperazione, un futuro incerto e chi ci sta già soffiando sopra. Non perdoneranno nulla a Giorgia Meloni e in tanti non vedono l'ora di sentirla cadere. È un viaggio che non si può fare senza fiducia negli alleati. Non si può partire con una valigia di risentimenti, di perplessità, di rancori più o meno soffocati. Non si può sopravvivere da separati in casa. Allora non c'è altra strada in queste ore che trovare l'equilibrio.

L'equilibrio non è la vittoria dell'uno sull'altro. Non è una gara a chi sputa più lontano.

È andare avanti rispetto a insofferenze e diffidenze. È dirsi le cose in faccia, a muso duro, ma con il desiderio di trovare una soluzione. È sentirsi così forti da dare uno spazio e un ruolo ai tuoi compagni di strada. È dichiararsi leader di una coalizione.

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