L'Rt nazionale, vale a dire quante persone possono essere contagiate in media da un solo individuo, più semplicemente l'indice che misura il tasso di contagiosità, sembra che stia per lasciare il posto all'Rt ospedaliero.
La situazione dall'inizio della pandemia è cambiata e questo pare non essere più un parametro affidabile con cui potersi confrontare. I principali problemi dell'Rt utilizzato fino ad oggi sono due, come ha sottolineato anche Massimo Clementi, Professore di Virologia dell'Università San Raffaele, ossia: i dati raccolti non rispecchiano la realtà in quanto risalenti a 15 giorni prima e sono inattendibili perché ormai il 40% della popolazione o è stata vaccinata o possiede gli anticorpi. Il rischio più concreto, se si continua con questo, è la mancanza di tempestività.
Proprio per queste motivazioni, come riporta il sito del Corriere della Sera, il Ministero della Salute sta seriamente valutando la possibilità di cambiare il sistema di valutazione del rischio epidemico sostituendo l'Rt con l'Rt ospedaliero, un indicatore che monitora i ricoveri ospedalieri. Basta terrore, qualora la decisione venisse portata fino in fondo, l'algoritmo comincerebbe a basarsi esclusivamente sul numero di ricoveri in ospedale dovuti alla malattia, sia terapie intensive che gli altri reparti dedicati, e non più su quante persone sono risultate positive.
Una scelta non priva di conseguenze. Cesare Cislaghi, un epidemiologo italiano, ha sottolineato come una piega simile permetterebbe all'Italia di essere più favorevole alle riaperture e al cambio di colore delle regioni. L'indice di ospedalizzazione, in rapporto all'indice di contagio, sta diminuendo molto più velocemente. Ruolo fondamentale lo sta avendo l'accelerazione della campagna vaccinale che sta determinando "il calo dei casi gravi di malattia" e di conseguenza "in ospedale proporzionalmente si hanno meno pazienti". Questo vuol dire che ormai il problema per le regioni "non è più tanto la diffusione dei contagi da virus quanto la sostenibilità delle strutture sanitarie", vale a dire la capacità degli ospedali di curare offrire cura ai pazienti più gravi.
Cislaghi ha concluso esprimendo un timore: "Il risultato cambierebbe solo se la proporzione di positivi ospedalizzati diminuisse e non vorrei però che questo venisse vissuto da parte
del sistema come un implicito e magari non cosciente disincentivo a ricoverare". Allo stesso tempo però non ha dubbi sui medici i quali difenderanno "il principio dell'appropriatezza dell'assistenza".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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