Pensiamo per un attimo di non riuscire più a riconoscere le persone che ci circondano. Di guardarle e di non vedere più nulla. Come se i loro volti fossero piatti, sfocati, vuoti. Un mondo in bianco e nero dove niente è familiare e tutti sono estranei. Dove una fotografia non rievoca alcun significato. Pensiamo di non riuscire più a riconoscere i nostri amici, i nostri genitori e i nostri figli. Pensiamo di guardarci allo specchio e di vedere un'immagine che non ci trasmette nulla, come se non esistessimo più in quel riflesso. Estranei anche a noi stessi. Un esercizio di immaginazione inquietante. Ma se fosse realtà? La prosopagnosia (face blindness) è un disturbo cognitivo che consiste proprio in questo: nella perdita della capacità di riconoscere i volti. Il deficit può manifestarsi attraverso diversi gradi di intensità. Nei casi più gravi si può addirittura perdere la capacità di riconoscere luoghi e oggetti (agnosia visiva). Può svilupparsi in seguito a un danno cerebrale (ictus, lesioni o traumi), oppure può essere congenita o ereditaria, cioè presente fin dalla nascita. Purtroppo non è una condizione così rara. Si stima che ne possa soffrire circa il 2% della popolazione. Testimonianze di alta cultura scientifica e di raffinato valore letterario ci sono arrivate dal famoso neurologo e scrittore Oliver Sacks che, dopo aver descritto l'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, ha confessato le sue personali esperienze come medico e come persona che ha sofferto per tutta la vita di prosopagnosia. Nel libro L'occhio della mente ci ha fornito importanti contributi per la classificazione e per la descrizione della malattia, e non solo. Attraverso intime considerazioni, il neurologo parla ai suoi lettori e ai suoi pazienti descrivendo l'imbarazzo che lo accompagnava da bambino quando non era in grado di riconoscere i compagni di scuola. Condivide momenti in cui riesce quasi a ironizzare sulla sua condizione: «questo mio problema di riconoscimento si estende non solo alle persone che mi sono più care e vicine, ma anche a me stesso. In diverse occasioni mi sono scusato per essere quasi finito addosso a un grosso uomo barbuto, per poi accorgermi che ero io, riflesso in uno specchio». Nei casi più gravi, gli individui che soffrono di prosopagnosia arrivano a non riconoscere la persona con cui sono stati fino a cinque minuti prima. O, addirittura, a non identificare il volto del proprio figlio in mezzo ad altri bambini durante una festa di compleanno. Non essendoci ancora delle terapie in grado di contrastare il problema, gli unici rimedi per cercare di attenuarlo derivano dalla compensazione dei sintomi attraverso un'attenta osservazione di altri indizi identificativi come la voce, il profumo, la corporatura, il taglio di capelli, gli occhiali o qualsiasi particolare distintivo. Azioni apparentemente normali diventano molto difficili e faticose. È facile intuire come questa condizione possa associarsi a un significativo disagio perché spesso scambiata come mero atteggiamento caratteriale, come manifestazione di introversione, di maleducazione e di antipatia. Da quando siamo bambini il riconoscimento dei volti ci ha accompagnato donandoci un profondo senso di sicurezza sempre dato per scontato. Come dice Sacks: «è con la nostra faccia che affrontiamo il mondo dal momento della nascita a quello della morte. È su di essa che sono impressi la nostra età e il nostro sesso. Le emozioni quelle esplicite e istintive di cui scrisse Darwin, e anche quelle nascoste o ormai rimosse di cui parlò Freud sono esibite sulla nostra faccia insieme a pensieri e intenzioni». Genitori, amici e conoscenti appartengono al mondo che ci circonda. l volti sono punti cardinali. Sono la bussola del nostro senso di familiarità e di sicurezza. Rivelano l'identità della nostra vita, dei nostri affetti e delle loro emozioni. Svelano espressioni, stati d'animo, assenso, dissenso, piacere e dolore. Il volto è intimità. È confidenza. È ciò che più ci caratterizza.
Non essere capaci di riconoscerlo sarebbe come tentare di apprezzare una sfera guardando un cerchio. Come per un bimbo assaggiare una caramella senza sapore. E voi? Riuscireste a vivere in un mondo nel quale i volti sono tutti identici?
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