Americani no, russi nemmeno, cinesi forse sì. È il gioco con e senza frontiere in cui l'Europa si sta impiccando da un po' di tempo. Ora, però, in qualche modo bisogna dare una risposta. La funzione matematica è trovare un equilibrio tra queste variabili: soldi, sicurezza e geopolitica. Sembra una questione burocratica, ma mette sul piatto molte delle nostre paure. La più grande è ancora il virus. Aprire le porte significa esporsi, rischiare, buttare via i sacrifici della lunga quarantena. La seconda è fare i conti con il futuro, quello prossimo e quello più lontano, con una depressione economica che ti circonda da tutte le parti e ti spinge a chiudere gli occhi davanti al rischio contagio. È la scelta più radicale dell'umanità: sicurezza o libertà? Quella che può essere rappresentata anche come salute o denaro. Una domanda che da sempre spezza in due il modo di stare al mondo, da una parte chi dice «prima vivere» e dall'altra chi sostiene che la «vita è rischio».
La terza paura riguarda il destino delle nazioni. È il «gioco dei re», dei potenti della terra. Quanto costa sullo scacchiere del mondo chiudere le porte a chi è più forte di te? Ecco il dilemma che sta affrontando la Ue.
Il 1° luglio l'Europa riapre le frontiere. Non tutte, però. Ci sono posti dove il contagio ancora corre veloce e quindi serve cautela. Tra questi ci sono i tre giganti che disegnano le sorti del mondo: Stati Uniti, Russia e Cina. È qui che il gioco si fa difficile. L'Europa sta facendo la lista dei buoni e dei cattivi. Da qui si può entrare, da lì no. Il rischio però è di scontentare le grandi potenze e di dovere dire no ai soldi dei loro turisti. L'accordo tra i ventisette Paesi dell'Unione europea non è stato ancora firmato. Ci stanno lavorando da tempo, con difficoltà, ora si è arrivati a una bozza quasi definitiva. L'idea è di chiudere tutto il 30 giugno.
La lista di chi può arrivare in Europa comunque è questa: Australia, Algeria, Canada, Cina, Corea del Sud, Georgia, Giappone, Marocco, Montenegro, Nuova Zelanda, Serbia, Thailandia, Tunisia, Uruguay e Ruanda. Oltre agli Stati Uniti, i confini rimarrebbero chiusi anche per la Russia, il Paese più colpito in Europa, con oltre 627.000 contagiati e 9.000 morti; e il Brasile, il più colpito in America Latina, con 1,3 milioni di casi e oltre 57.000 morti.
La Cina, che ha chiuso i suoi confini, è tra i «buoni». L'Europa chiede solo una condizione di reciprocità: noi apriamo a voi e voi aprite a noi. Stati Uniti e Russia sono invece al momento fuori. Questa differenza di trattamento deve essere presentata come una necessità, proprio per non creare tensioni diplomatiche con Trump e Putin. I rapporti con il presidente americano sono già piuttosto tesi, visto che la Casa Bianca ha deciso di alzare i dazi per i prodotti alimentari europei.
La realtà è che la tragedia del virus non sta generando solidarietà e collaborazione tra nazioni. Ognuno, per paura o per cinismo, guarda con ancora più attenzione ai propri interessi. Il mondo non si è affatto aperto, ma si è rinserrato nei propri confini. La stessa Europa vede il proprio vicino con sospetto e non tutti i governi sono convinti di aprire con leggerezza i propri confini agli altri Paesi Ue. Diffidenza resta la parola d'ordine. A rimetterci è chi vive e lavora di turismo. Le «vacanze autarchiche» possono essere perfino romantiche, con l'occasione di riscoprire luoghi e paesaggi poco frequentati, ma non bastano a contenere le perdite economiche.
La Coldiretti, tanto per fare un esempio, calcola che la chiusura delle frontiere ai viaggiatori statunitensi costa al turismo italiano quasi due miliardi di euro. La geopolitica, fredda e lontana, alla fine la sconti sulla tua pelle.
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