Perché oggi non possiamo non dirci europeisti

Perché oggi non possiamo non dirci europeisti

Nel 2019 celebriamo una serie di importanti anniversari: 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci; 230 anni dalla rivoluzione francese; 70 anni dalla fondazione della Nato; 50 anni dallo sbarco dell'uomo sulla Luna; 50 anni dai moti di Stonewall a New York; 30 anni di vita del web; 30 anni dalla caduta del muro di Berlino; 20 anni dall'introduzione dell'euro... Questi anniversari ci aiutano a ricordare quello che siamo in grado di fare quando uniamo lungimiranza, determinazione, tecnologia, competenza e impegno in un disegno unico di visione verso il futuro che vogliamo raggiungere. Un esempio di questo spirito è il più grande esperimento di unione di democrazie della storia dell'umanità, l'unione europea: quello che abbiamo raggiunto oggi lo dobbiamo a lungimiranza, determinazione e impegno dei nostri padri e nonni, che hanno saputo guardare oltre i confini nazionali e sognare una grande famiglia europea, in grado di garantire stabilità, pace, opportunità e sviluppo economico. Stiamo vivendo il più lungo periodo senza conflitti che il nostro continente abbia mai avuto. Oggi l'Ue è la più importante area economica al mondo: 500 milioni di persone, il 7% della popolazione mondiale, che nel 2018 ha generato oltre un quinto del prodotto interno lordo mondiale (19,2 trilioni di dollari). La generazione dei nostri figli non può immaginarsi di vivere senza questo senso di orgogliosa appartenenza all'Europa...

L'Unione Europea non può e non deve essere oggetto di arringhe di politici che, con il solo scopo di riempire il vuoto propositivo che contraddistingue i propri programmi elettorali, la attaccano per accaparrarsi facili consensi. Questa è mancanza di serietà e responsabilità. Serve un dibattito politico serio orientato a proposte concrete su come migliorare, e in qualche punto ristrutturare, questa nostra casa comune...

Non è, però, del passato di cui voglio parlarvi, ma del futuro e delle sfide che ci attendono per guardare avanti e pensare ad un futuro ancora migliore. Voglio ricordare il filosofo Bernardo di Chartres che, riferendosi ai contemporanei, li paragonava a nani seduti sulle spalle dei giganti: possono vedere più cose e più lontano, non per l'acume della vista o l'altezza del corpo, ma perché sollevati e portati in alto dalla statura degli antichi.

Vorrei fare uno sforzo di immaginazione e provare a proiettarci, seduti sulle spalle dei nostri «giganti antichi», 45 anni da oggi, nel 2064. La popolazione globale sarà aumentata di oltre 2 miliardi di persone rispetto ad oggi (saremo oltre 9 miliardi), e la speranza di vita media dei cittadini della terra si avvicinerà ai 100 anni (uno dei più importanti trionfi dello sviluppo umano). I nuovi sistemi di medicina personalizzata correranno in nostro aiuto migliorando la prevenzione delle malattie, la stampa 3d sarà in grado di creare organi artificiali, l'intelligenza artificiale applicata ai big data aiuterà i medici ad individuare cure migliori per ogni paziente... Entro il 2100 la temperatura della Terra potrebbe aumentare tra 1 e 4,1 gradi centigradi e 100 milioni di persone nel mondo potrebbero vivere in zone a rischio inondazioni; questi danni climatici, causati dall'utilizzo di combustibili fossili, saranno stati scongiurati grazie allo sviluppo tecnologico e alla transizione energetica abilitata dall'elettrificazione. La just evolution (la transizione energetica giusta per tutti) garantirà benefici sociali ed economici per tutti i cittadini. Di just transition ha parlato anche la nuova presidente della Commissione europea (Ursula von der Leyen) nel discorso al Parlamento europeo, durante il quale ha indicato obiettivi coraggiosi e ambiziosi per l'unione, tra cui quello di diventare, entro il 2050, il primo continente del mondo a impatto climatico zero...

Come ci ha ripetutamente insegnato la storia, gli allarmismi per i rischi derivanti dall'automazione si riveleranno totalmente infondati e nasceranno lavori che ancora non esistono: solo 10 anni fa nessuno avrebbe immaginato lavori come il big data analyst, il quantum computing expert, lo sviluppatore di app o gli operatori di telemedicina, che oggi impiegano decine di milioni di persone in tutto il mondo... Solo nel 2018 sono stati inventati almeno 7 nuovi materiali che contribuiranno a rendere la nostra vita migliore... L'Europa che molti davano per spacciata a causa della crescita dei sovranisti, nel 2064 avrà raggiunto, da 14 anni, l'obiettivo di essere il primo continente carbon free al mondo, grazie all'alleanza tra politica e ricerca, in cui la prima avrà messo a disposizione della seconda oltre un trilione di euro per investimenti in innovazione e nuove tecnologie per un'industria più pulita e competitiva; saranno 113 gli anni di pace vissuti dal continente europeo; la nostra economia sociale di mercato, unica al mondo, basata sul pilastro dei diritti sociali e della coesione territoriale ed economica, sarà stata d'esempio per altre aree del mondo che hanno visto nel nostro continente il faro luminoso verso un futuro di pace e prosperità...

Ma cosa succederebbe se, invece, si avverassero le previsioni dei pessimisti? Quelle in cui il lavoro sarà stato rubato dall'automazione, in cui i cambiamenti climatici saranno tali da rendere invivibile gran parte del nostro pianeta, in cui non ci sarà abbastanza cibo per tutti o in cui non ci sarà più un'unione europea? La letteratura dei menagramo è ricca di grandi previsioni catastrofiste che, fortunatamente, non si sono mai avverate. Non vi tedio ora con un lungo elenco; basta ricordare quelle sulla fine del petrolio o sul numero di morti per carestie nel mondo. Siamo noi con le nostre scelte a decidere come sarà il mondo tra 45 anni e in un futuro più lontano... Vorrei, a tal proposito, ricordare il passaggio di un amico, Sergio Marchionne, più volte protagonista dei nostri incontri e scomparso precocemente lo scorso anno, che è sempre stato una grande fonte di ispirazione ed esempio di persona lungimirante: «Ognuno di noi, ogni individuo, deve farsi un esame di coscienza e decidere qual è il tipo di cambiamento che vuole: il proprio o quello degli altri. Nel farlo, dobbiamo essere consapevoli che il primo richiede sacrifici, coraggio e senso di responsabilità nel costruire il mondo che vogliamo. L'altro, invece, ci relega al ruolo di spettatori e condanna la società e il futuro a quello di vittima della paura e della mancanza di coraggio».

Valerio De Molli

Amministratore delegato

The European House - Ambrosetti

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