In passato, a volte a ragione, alcuni partiti di centrodestra sono stati accusati di avere un approccio ideologico al problema dell'immigrazione nella logica del populismo o, ancora, del sovranismo. Ora, però, è la sinistra, dal Pd ai 5stelle, ad assere animata da posizioni dogmatiche su un argomento così delicato che, a sentire qualche sondaggista (vedi Alessandra Ghisleri), è tornato ad occupare le prime posizioni nella gerarchia delle questioni che preoccupano l'opinione pubblica. E non potrebbe essere altrimenti: nei primi tre mesi del 2023 stiamo assistendo ad un vero e proprio esodo verso l'Italia di migranti clandestini che partono dalle coste della Libia, della Tunisia, dell'Egitto e della Turchia. Qualcuno ripete che non si tratta di un'emergenza ma di un dato strutturale. Magari sarà anche così, ma, al di là delle dispute lessicali, le dimensioni del fenomeno sono tali che richiedono una politica e un impegno straordinario. Ogni «crisi» nel continente africano - l'ultima è la guerra civile che divampa nel Sudan - determina una nuova ondata.
È il punto che sfugge innanzitutto ad Elly Schlein che, assecondando la deriva del suo partito verso il populismo di sinistra, ha dimenticato che in politica non basta solo dire «No». Passata la stagione in cui aveva un piede nel governo, il Pd ha messo da parte ogni forma di pragmatismo nell'affrontare il problema. Ha rimosso la filosofia di Marco Minniti, anzi l'ha sotterrata sotto una montagna di demagogia. Se così non fosse la Schlein capirebbe che se vuoi salvare i naufraghi e tenere i porti aperti per l'accoglienza, se vuoi favorire i flussi legali di chi viene da noi a lavorare, devi nel contempo aumentare la capacità del nostro Paese di rimpatriare chi non ha i requisiti per restare. Altrimenti rischiamo di essere un Paese senza frontiere e, visto che i nostri sono anche i confini dell'Europa, un continente senza frontiere.
Un'espressione che può esaltare un certo mondo, ma che è foriera di grossi guai. Perché se i numeri diventano quelli di un'invasione; se, invece di importare mano d'opera, apriamo casa ai delinquenti; se a Milano il 98% dei crimini per strada, secondo le statistiche, è commesso da stranieri, e ci vuole poco a capire quali. Ebbene, a quel punto è fatale che nell'opinione pubblica si inneschi una crisi di rigetto di cui la prima vittima sarebbe proprio la sinistra. Ecco perché la decisione di nominare un commissario per l'immigrazione, aumentare il numero dei centri per il rimpatrio e la stretta sui permessi speciali sono misure concrete, figlie del momento, e hanno una stretta correlazione anche con la decisione di portare in Italia 4mila lavoratori tunisini per vie legali. Basterebbe una piccola dose di buonsenso per comprendere che sono due facce della stessa medaglia. Una consapevolezza del presente che ha spinto il Presidente Mattarella a tirare le orecchie ad un'Europa che, di fronte a ciò che sta avvenendo, continua a mantenere «regole preistoriche» sull'immigrazione, lasciando l'Italia di fatto sola.
Consapevolezza che, a quanto pare, i presidenti di Regione del Pd e i sindaci di sinistra (in realtà non tutti) con i loro «no» a priori alle scelte del governo, dimostrano di non avere. Sono i sintomi del populismo che ispira la sinistra ogni volta che è all'opposizione. Un automatismo a cui tantomeno un Pd ispirato all'ideologia woke può resistere.
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