Il muezzin è come una tassa. La sua voce è puntuale come un orologio svizzero e serve a ricordare ai fedeli il primo dovere del buon musulmano: la preghiera. Il suo canto si spande dalla cima del minareto, aiutato da un poderoso sistema di amplificazione. Soprattutto nelle ore di riposo quei decibel possono trasformarsi in un vero tormento e allora verrebbe voglia di protestare.
Meiliana, una signora buddista di origine cinese che vive a Medan in Indonesia, ci ha provato. Ed è per questo che dovrà scontare 18 mesi di carcere. L’accusa per cui è finita dietro le sbarre è quella di “blasfemia”. La sentenza choc è arrivata dopo una stagione di tumulti. Quando la donna, a luglio 2016, ha osato chiedere al muezzin di abbassare il volume si è innescata una vera e propria guerra di religione. Come racconta AsiaNews, infatti, per vendicare quell’offesa alcuni gruppi di estremisti islamici diedero alle fiamme diversi templi buddisti. Furono giorni di disordini, al termine dei quali la polizia arrestò quasi un ventina di persone.
Poi per Meiliana è iniziato un lungo calvario giudiziario che si è concluso alcuni giorni fa con una condanna per blasfemia. Questa accusa, nei Paesi a maggioranza musulmana, come dimostra l’assurda vicenda di Asia Bibi, è spesso utilizzata per perseguitare le minoranze riducendole al silenzio. Nel frattempo, però, il caso ha creato qualche imbarazzo alle autorità di Giacarta, duramente contestate dalla componente islamica moderata.
Così per cercare di rimediare al misfatto il ministero per gli Affari religiosi ha emanato una circolare che regola l’uso degli altoparlanti nelle moschee. Nel documento viene raccomandata la loro manutenzione per evitare “rumori che potrebbero suscitare risentimento verso la moschea”.
Specificando che la preghiera deve essere “melodica” e “diffusa in momenti appropriati”. Infine, la raccomandazione di “non trasmettere suoni quando la maggior parte delle persone ci si aspetta dorma, si riposi e preghi”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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