Asia Bibi faceva la contadina per mantenere i suoi cinque figli nella realtà rurale del Pakistan. Una vita placida, regolata dai ritmi di chi lavora la terra. Una vita sconvolta nel giugno 2009. Durante una giornata di lavoro nei campi altre donne le chiedono di andare a prendere un secchio d'acqua per rinfrescarsi, ma Asia è cristiana e qualcuno la aggredisce accusandola di aver contaminato l'acqua con le sue mani di infedele. La discussione si accende nei toni e le altre donne sostengono di aver sentito Asia bestemmiare il nome di Maometto.
Pochi sono disposti a smentire questa accusa e per la donna inizia un calvario giudiziario che rischia di concludersi con la pena di morte. In Pakistan è ancora in vigore una vecchia legge coranica che prevede la pena capitale per chi insulti la religione islamica. Così dopo cinque anni di carcere e abusi Asia è stata condannata a morte. Molte associazioni umanitarie accusano il tribunale che ha emmesso la sentenza di aver sacrificato la sua indipendenza per paura o per complicità con i religiosi estremisti, che hanno sempre più peso in molte regioni del Pakistan. Durante l'udienza a cui sarebbe seguita la sentenza una ventina di ulema, il corrispettivo dei sacerdoti cristiani, sarebbe sfilata silenziosamente davanti alla corte, che, guarda caso, ha confermato la condanna a morte.
Non solo le Ong per i diritti umani combattono per la causa di Asia Bibi. Molti pakistani si battono per rivedere il reato di blasfemia, una legge che vedono come l'anticamera del fondamentalismo in cui sta sprofondando il Pakistan. Tra i più accesi nemici di questa legge medievale il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, che si è recato a trovare Asia Bibi in carcere e che per questo è stato ucciso nel 2011 da una sua guardia del corpo al soldo dei Talebani. Stessa fine violenta per il ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico, è stato assassinato da estremisti islamici.
Una scia di sangue in nome dell'intolleranza religiosa di cui Asia Bibi rischia di essere solo una delle tante vittime di questi anni.
A meno che non abbia successo la petizione che su Internet vuole raccogliere 150mila firme per chiedere all'ambasciatore americano ad Islamabad di esercitare pressione sulla corte suprema pakistana. I giudici, tra meno di un mese, decideranno se confermare o meno la condanna a morte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.