Linea dura della Cassazione contro il fumo passivo negli ambienti di lavoro: non è sufficiente che un’azienda metta a punto circolari e direttive, ma, di fronte ad infrazioni, deve anche infliggere sanzioni. La Suprema Corte ha infatti confermato la condanna al risarcimento danni (stabilito in appello in circa 31mila euro) inflitta alla Rai chiamata in causa da una giornalista che lamentava di aver subito esposizione in azienda al fumo passivo. Secondo i giudici di piazza Cavour, infatti, l’azienda "si è limitata a richiamare non meglio indicate circolari e disposizioni organizzative, senza che neppure sia stata allegata l’effettiva inflizione di qualche sanzione disciplinare in merito", mentre "l’assunta emanazione di circolari e direttive - si legge nella sentenza della sezione lavoro depositata oggi - non costituisce evidentemente misura idonea a contrastare i rischi da esposizione al fumo passivo, nè, di conseguenza, prova liberatoria".
La causa continuerà ora davanti alla Corte d’appello di Roma: la Cassazione ha accolto un motivo di ricorso sul presunto demansionamento lamentato dalla giornalista, che non era stato riconosciuto in secondo grado. Sul punto, dunque, i giudici d’appello della Capitale dovranno tornare a pronunciarsi.
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