La vicenda del Ddl Zan è la cronaca di una débâcle che gli sconfitti ora ribaltano in una vergogna dei vincitori. È un vecchio schema: per silenziare le proprie mancanze occorre urlare il più possibile contro l'avversario: io sono tanto più tollerante, ugualitario e democratico quanto più l'altro è cafone, impresentabile e volgare. Non è mio l'errore, è dell'altro l'orrore. Non è mia la presunzione, è dell'altro l'ignoranza. Si sa: gettare fumogeni tutt'intorno per coprire il disastro di mosse scellerate è ipocrita, ma politicamente utile.
Sì. La mossa della sinistra era e resta scellerata, per molti motivi. Perché il Ddl Zan, così come è stato portato in aula, era un testo con più di una ambiguità. Perché presentava passaggi che mettevano a rischio la libertà di parola. Perché era percepito da più parti - e non solo dalla Chiesa e dalle destre - come estremista. Perché non è una legge condivisa dalla coscienza collettiva. Perché il Paese che non è quello dell'Associazione Pro Vita ma neppure quello della claque di Propaganda Live non è mai stato convinto dell'urgenza di una legge del genere. E perché, soprattutto, la sinistra non ha accettato compromessi né mediazioni, ma incolpando la destra di voler seppellire una gloriosa stagione di diritti civili - è andata avanti a testa bassa, coi paraocchi, trasformando una proposta di legge in una battaglia di bandiera e rivoltando la rivendicazione di una minoranza in una crociata universale. In più, ci ha messo la tradizionale superbia morale e intellettuale e - capolavoro di un disastro annunciato - è arrivata allo scontro finale senza avere i numeri per reggerlo. E così, ora, persa la partita, si contestano le regole del gioco e si addossano all'avversario - meglio: al nemico - le colpe peggiori. La destra è indecente, amorale, chiassosa e i suoi senatori sono odiatori seriali e portano persino brutte cravatte.
Ieri i titoli dei giornali della sinistra hanno urlato tutto il peggio che si potesse tirare fuori da una disfatta simile.
La strategia è chiara: nascondere il fatto che il Senato abbia liberamente e democraticamente detto «No» a un disegno di legge, e scaricare le responsabilità della sconfitta sui soliti traditori, additare gli onnipresenti «fascisti» - che sono ovunque, quindi anche dentro l'aula parlamentare - e demonizzare il voto segreto come fosse un vulnus per la democrazia mentre è un principio cardine quando si dibatte su questioni che incidono sulle libertà e i diritti fondamentali della persona.E così il problema diventa il tifo da stadio «disgustoso» della destra e non la mancanza di autocritica della sinistra. Uno schema vecchio, appunto. Così vecchio che forse non funziona più.
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