Rifondare la scuola? Sì, ma davvero tutta

Mille riforme sempre dal fiato corto che non centrano il cuore del diritto leso

Rifondare la scuola? Sì, ma davvero tutta

Chi farà uscire l’Italia (l’Europa!) dal tunnel del “non-senso” (politico, economico, culturale, sociale) e i nostri giovani da uno stato di paralisi mentale che non consente alle forze migliori di restare e di lavorare? Occorrono persone coraggiose e scomode – ma non disfattiste...- che credono ancora nel bene pubblico come estraneo alla logica del successo personale perseguito a qualunque costo.

Non è più il tempo dei contenitori, bensì dei contenuti: sicuramente la scuola è un reale quanto scomodo punto di partenza. Non se ne può più di assistere a performance televisive – anche da parte di parlamentari – in cui la bocca non è collegata con l’intelligenza... Vox populi: “Ma dove e come ha studiato questa gente?”. Passi che non tutti i ministri siano laureati: si spera che abbiano almeno frequentato in modo decente la scuola superiore... A meno che non si affermi (come è avvenuto): “Sono cariche politiche. Non servono. A tutto pensa lo staff...”. La mancanza di cultura ha un costo…

Rifondare la Scuola? O “tutta” (la scuola pubblica, statale e paritaria, s’intende, quella del Servizio Nazionale di Istruzione) o “niente”, che equivale al piano inclinato verso il degrado. Non avremo più neppure i cervelli da esportare all’estero. Rifondare la scuola, ovvero: dare spazio a buone idee, a confronti intelligenti e scomodi, a contenuti frutto di anni giovanili di studio, di esperienza, di riflessione; dare spazio a docenti seri, motivati, ben preparati, che sanno parlare italiano e sanno insegnarlo a studenti che non perdono le ore pomeridiane e notturne a chattare schiocchezze (Ahhhhh... Eheheheh....Nooooo....Sìììììì....): dare spazio a giovani appassionati di arte e di sport, che la scuola sappia valorizzare, a dirigenti eroici che esigano tutta l’autonomia di cui hanno bisogno per far funzionare plessi elefanteschi, senza sprechi e senza imposizioni dall’Alto, fosse anche il Ministero... “Non se ne può più”.

Risollevare la società italiana ponendo come punto di partenza la scuola significa semplicemente intraprendere l’unica battaglia che vale la pena combattere, perché è la sola utile allo scopo...

Garantire la libertà di scelta educativa alla famiglia (art. 30 Cost.) in un pluralismo formativo (art. 33 Cost.) è un passaggio di civiltà che, oltre ad essere sostenibile per lo Stato italiano (come dimostra lo studio sul costo standard di sostenibilità per allievo), restituirebbe giusta armonia e sviluppo al welfare.

Questo è il cuore della questione, alto sulle visioni ideologiche e miopi che, mentre ledono la famiglia, distruggono il patrimonio culturale italiano rendendo sempre più povera la nazione e aggravando il già disastroso debito pubblico, che si alimenta delle tasse dei cittadini tartassati.

Quel malinteso “senza oneri per lo Stato” all’art. 33, inondato da letture superficiali e incolte, senza contestualizzazione con gli articoli che lo precedono e i commi che lo seguono, letture ben lontane dalla levatura dei nostri Costituenti – … l’Italia rimpiange queste figure di cultura - fa imboccare una via che produce gravissimi oneri per lo Stato: il 42% della disoccupazione giovanile, il 44 % dei laureati che ammette di aver sbagliato la scelta della scuola superiore, il 25% di abbandono della scuola dell’obbligo; il 35,7% di Neet, le basse competenze in svariati ambiti culturali dei nostri studenti, la mancata valorizzazione dei docenti migliori, la perdita del pluralismo educativo.

Parliamone… in quanto cittadini e attori responsabili di una società degna di questo nome.

Il dialogo è aperto: bisogna semplicemente avere il coraggio di non allontanarsi dal pezzo. La penna come trivella. O come buldozer per sbancare il terreno accidentato e coperto di detriti...

E’ certa infatti la sensazione di essere travolti da “fiumi di parole” che, mentre sembrano aprire varchi in fondo al tunnel, scorrono in realtà come su ciottoli ben levigati, in un immobilismo che sopprime la speranza e che fiacca chi non si accontenta di galleggiare, ma vuole veleggiare da coraggioso surfista. Dunque con tenacia occorre continuare a ripercorrere con ordine i passaggi da cui ripartire per evitare ... l’annegamento.

La famiglia italiana attende, dal 1948 ad oggi, la garanzia del diritto alla libertà di scelta educativa. I genitori poveri non possono scegliere la buona scuola pubblica paritaria - ex L. 62/2000, una delle “due gambe del Sistema Nazionale di Istruzione” (dichiarato dal già Ministro Stefania Giannini e altresì riconosciuto dall’attuale Ministro Valeria Fedeli) - perché non possono pagare due volte: tasse allo Stato e retta di funzionamento. Ancora peggio se i genitori hanno un figlio portatore di handicap. Puniti due volte: cento euro scarsi di detrazione annui e mille euro per il sostegno del figlio disabile a fronte dei 25 mila necessari per il docente ad hoc. In Francia – come in tutta Europa, tranne che in Grecia - il genitore povero sceglie la scuola pubblica che vuole, gestita o no dallo Stato. In Italia il povero non sceglie ciò che avrebbe diritto di scegliere. “Per te, povero, c’è la scuola statale”. “Ma io, veramente…avrei diritto a…” “Taci! Il diritto è finto! Per te c’è solo la statale, come è, è”. Eppure “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini” (Cost. art. 3). l'Italia, quale Stato di diritto, non garantisce i diritti che riconosce.

Evidentemente urge far funzionare meglio la scuola pubblica, sia statale che paritaria. Gli aggettivi “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico”, non è necessariamente “statale”. Il San Raffaele è pubblico, ma non statale. “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”(Cost. art. 33, comma 4).

Insiste il Parlamento Europeo (risoluzione 14 marzo 1984, art 7): “La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Tale libertà comprende inoltre diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l'istruzione desiderata.”

Ma lo Stato non può reggere finanziamenti aggiuntivi per la scuola tout court. L’unica soluzione per evitare il tracollo della scuola pubblica, sia statale che paritaria, è il costo standard di sostenibilità. Lo dimostra scientificamente il saggio "Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato", ed. Giappichelli, 2015, di Alfieri, Grumo, Parola. La proposta prevede che lo Stato ponga al centro dell’attenzione lo studente. Si individui un costo standard di sostenibilità (da declinare in convenzioni, detrazioni, buono scuola, voucher ecc.) e lo si applichi ad ogni allievo della scuola italiana, sia statale che paritaria. Solo così si realizza la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo: la famiglia avrebbe la possibilità di scegliere la buona scuola che desidera, pubblica statale o pubblica paritaria; la spesa per lo Stato sarebbe a costo zero rispetto all’attuale, che è fuori controllo. Migliorerebbe l’offerta educativa perchè il passaggio decisivo del “costo standard” non sta nella uguaglianza economica, ma nel rafforzamento della responsabilità della famiglia e del potere della domanda, rispetto all’offerta scolastica garantita. L’attuale regime dei finanziamenti a pioggia rappresenta il tracollo economico della scuola pubblica tutta, statale e paritaria. O il costo standard, o il tracollo. Tertium non datur.

La buona scuola pubblica paritaria italiana, quella che educa persone che non si fanno esplodere e che non tagliano teste, sia essa di tradizione laica o cattolica, sta morendo. E non è solo un fattore economico, quanto piuttosto di un gigantesco disatteso investimento educativo e culturale. Chi ci governa ripete quasi come un mantra che l’Italia ha bisogno di speranza, ma questa aggiungiamo noi, ha due bellissimi figli: uno è lo sdegno, l’altro è il coraggio. Lo sdegno di riconoscere la realtà, i propri errori e il coraggio per cambiarla. La realtà ci dice che nel 2014 le scuole paritarie coprivano circa un milione di studenti, oggi 980mila su un totale di otto milioni (il 12%), ma costano allo Stato solo l'1% di quanto viene investito nell'istruzione pubblica. E’ bene ricordare che una politica miope, dal fiato corto, incapace di porre al centro lo studente, ha portato nell’ultimo triennio alla chiusura di 580 scuole pubbliche paritarie e alla conseguente perdita di 20 mila allievi della scuola superiore, privando così almeno 15 mila famiglie della libertà di scegliere. Un dato drammatico ma veritiero: l'ISTAT segnala come ci troviamo in coda alla classifica europea nella spesa destinata all'Istruzione in rapporto al PIL, appena il 4.6%, vale a dire poco più di 70 miliardi. Siamo invece al 47° posto, quasi ultimi al mondo tra i Paesi civili in termini di libertà di scelta educativa; ci supera perfino la “ex rossa” Mosca di Putin. Il coraggio invece, ci dice che per comprendere tale sproporzione, dobbiamo ripartire dal concetto di scuola pubblica. La nostra Carta Costituzione all’Art. 33 recita: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato, il cui naturale compimento lo troviamo all’ Art. 30 là dove viene affermato che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. La legge quindi, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare alle famiglie che le scelgono (essendo pubbliche) piena libertà, cioè un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole pubbliche statali. La scuola deve essere pubblica, nel senso che il sistema della Pubblica Istruzione deve garantire un servizio per tutti e di qualità, volto alla promozione e allo sviluppo della persona. La realtà purtroppo ci dice che lo Stato italiano ha ridotto in così tale schiavitù i propri cittadini, da essere oramai incapaci di rivendicare il loro diritto costituzionale, non solo di poter mettere al mondo dei figli e di essere quindi madre e padre, ma di scegliere liberamente come educarli.

Ci si domanda quale tasso di civiltà possa pretendere un Paese che ha generato un sistema scolastico classista, regionalista e discriminatorio. Il sistema è classista nella misura in cui i poveri non possono scegliere come educare i propri figli; regionalista nel momento in cui andando a spulciare i dati OCSE ci accorgiamo che regioni come la Lombardia, il Veneto sono molto avanti in termini di lettura, capacità di apprendimento, mediazione linguistica, e agli ultimi posti troviamo la Campania e Sicilia. Questione Meridionale irrisolta. Occorre essere fortunati a nascere in una famiglia ricca e anche nella Regione giusta. Infine il sistema è discriminatorio perché discrimina i docenti che non possono scegliere se insegnare tra una buona Scuola Pubblica Statale, e una buona Scuola Pubblica Paritaria, perché a parità di titolo conseguito (abilitazione) e di contesto lavorativo (scuola pubblica), il servizio degli uni è depotenziato (in base a che cosa?) rispetto a quello degli altri. Come dire: un Primario del S. Raffaele ha meno chances, a parità di titoli, di un Primario del Policlinico di Milano in un concorso pubblico. Se poi non si vuole considerare il problema nella sfera del diritto (nel senso: nessun interesse per la libertà di scelta dei genitori; e sarebbe comunque mostruoso), allora che lo si faccia almeno in quella dell’economia e della spesa pubblica. Non possiamo pensare di risolvere un problema con la medesima logica che lo ha prodotto; pertanto occorre superare il “vincolo economico” che la Legge 62/2000, come la Legge 107/2015, troppo timide, non hanno saputo affrontare. È un dato di fatto: la comunità nazionale con la presenza degli istituti non statali paritari risparmia 5 miliardi e 600 milioni di euro. Se infatti in Italia venisse applicato il sistema del costo standard di sostenibilità per tutti gli 8.908.102 studenti (totale degli studenti che oggi frequentano la scuola statale e paritaria) con la compartecipazione delle famiglie secondo ISEE (come per la sanità) la Spesa Pubblica totale si assesterebbe intorno a € 28.347.989.

316,26, ben al di sotto della spesa che oggi sostiene, pari a € 55.169.000.000,00. Risparmi da poter destinare al migliore funzionamento delle scuole, dalla didattica alle infrastrutture. Chi dissente sui numeri, porti le sue ragioni.

Dati paritarie

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