Rispunta il Mes un'altra mina per il governo

Non c'è mai pace nella maggioranza. Adesso è tornato il tempo del Mes ed è subito turbolenza

Rispunta il Mes un'altra mina per il governo

Non c'è mai pace nella maggioranza. Adesso è tornato il tempo del Mes ed è subito turbolenza. Daniele Franco, ministro dell'Economia, durante il question time alla Camera ripete quello che in fondo si sa da tempo. «Il governo sta per presentare il disegno di legge per la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità». È un debito politico che l'Italia ha verso l'Europa. È stato messo da parte ma ora sta arrivando la scadenza. La storia è questa. La riforma del «fondo salva Stati» non è mai stata ratificata. Se ne parlò a lungo al tempo del governo Cinque stelle-Lega. Conte, maestro nel temporeggiare, rinviò la questione per non turbare la maggioranza. Salvini era contrario e buona parte dei grillini sospettosa. Il timore era, ed è, di ricorrere a prestiti non in grado di ripagare, subendo poi il commissariamento da parte dell'Europa. Il Mes nasce come strumento per superare le crisi economiche, ma l'aiuto avrebbe un costo di autonomia. Il concetto è: se chiedi aiuto poi ti devi fidare.

Quello che chiede ora Bruxelles è di ratificare quel trattato. A non firmare sono rimasti in due, una è l'Italia, l'altra è la Germania. A Berlino si aspetta il via libera della Corte costituzionale, a Roma i dubbi sono invece politici. Fatto sta che la risposta andrebbe data prima del vertice Ue del 12 marzo. È qualcosa di cui gli altri ci chiederanno conto. Draghi ha già fatto sapere ai partiti di maggioranza che non ha alcuna intenzione di perdere tempo. È un passo che va fatto e non ha alcuna voglia di perdere la faccia in Europa. Il capo del governo fa anche notare che ratificare il trattato non significa chiedere prestiti. Si dice sì a un'opportunità, non è detto che poi bisogna per forza sfruttarla. Sì, replicano gli scettici, ma è meglio non firmare per evitare che a qualche governo, domani o dopodomani, venga la tentazione di usarlo. Il timore è perdere la sovranità sulle politiche economiche. Il senso del discorso potrebbe racchiudersi tutto qui, poi in realtà ci sono ragioni di bandiera e elettorali. Non è facile per chi ha detto no giustificare ora un sì.

Cosa accadrà quindi adesso? La posizione più delicata è quella della Lega, che si ritrova con le spalle scoperte alla sua destra. Giorgia Meloni ha già ribadito che di Mes non ne vuole neppure sentire parlare. «Il Parlamento si è già pronunciato in modo contrario. Noi non abbiamo cambiato idea e siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze questo ennesimo tentativo di riforma di un trattato che non fa gli interessi dell'Italia». La leader di Fratelli d'Italia è all'opposizione e non ha problemi di dissonanza con il governo. Salvini invece dovrà decidere se appoggiare Draghi o scantonare. L'una o l'altra scelta potrebbe avere un costo. È lo stesso problema che ha Conte. L'ex premier prova anche questa volta a prendere tempo. «Sul Mes ha già lavorato il mio governo. Vediamo le modifiche, le discuteremo, se sono sostenibili le appoggeremo». Ai dubbi di Conte rispondono direttamente gli ex grillini di Alternativa: «Vorremmo ricordare allo smemorato Giuseppe Conte che è stato proprio lui a firmare le modifiche al Mes. Di quali modifiche sostenibili vuole ancora sincerarsi e discutere?». Non è ancora chiaro.

Il Pd questa volta non ha dubbi: le paure sul Mes sono infondate. Forza Italia, come ricorda il capogruppo Paolo Barelli, non farà barricate. I ministri, al di là dell'appartenenza a questo o quel partito, sono tutti schierati con Draghi. La situazione però resta tutt'altro che tranquilla. Il Mes è una mina vagante sul cammino del governo. È una sigla che ormai evoca paure e sospetti. Non è un meccanismo di salvaguardia. È una bandiera.

È diventato uno di quei simboli su cui la maggioranza ama schierarsi in modo binario, senza buon senso, quasi senza ragione. E poi c'è Draghi. Il Mes sarà per lui una questione di fiducia. Chi vota «no» non può restare al governo. È una questione di principio, una di quelle dove ci si fa male.

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