Come nelle migliori love story naufragate, appena le coppie scoppiano volano gli stracci. E il rigurgito di odio con il quale i transfughi di Luigi Di Maio investono i loro ex soci del M5s è uno spettacolo pirotecnico imperdibile. Dopo anni passati gomito a gomito, al motto di uno vale uno, ora si scopre che a quelli di Ipf in realtà del Movimento non piaceva nessuno (non sapete cosa sia Ipf? Non crucciatevi, è normale. Non lo conosce ancora nessuno. È il nuovo partito del ministro degli Esteri).
Anzi probabilmente li odiavano tutti. Altrimenti non si spiega la violenza con la quale stanno attaccando ad alzo zero i grillini rimasti alla corte di Giuseppe Conte, dopo la mancata fiducia al governo Draghi. Sia chiaro: è legittimo e financo ammirevole cambiare idea, ma un testacoda cosi repentino lascia qualche dubbio. Loro lo sanno e applicano una tecnica di depistaggio tanto elementare da fare quasi tenerezza: non chiamano più il M5S con il suo nome, ma lo appellano solo come il partito dell'ex premier. Come se non lo conoscessero, come se non avessero governato con lui per due anni, come se non fosse stato il loro leader. E così, liberi da ogni vincolo di coerenza, giù con le bastonate. «Scellerati», «Fanno una crisi per due punti nei sondaggi», «Sono degli irresponsabili», «Vogliono devastare l'Italia», «Non hanno senso delle istituzioni».
Roba che a confronto Carlo Calenda - che ha auspicato la cancellazione del M5S - sembra un amico del cuore di Beppe Grillo.
D'altronde da un Movimento che voleva squartare le istituzioni come una scatoletta di tonno e radere al suolo la casta ci si potevano aspettare galanterie istituzionali e responsabilità politica? Certo che no. Ai dimaiani, del vecchio grillismo, rimane solo la violenza verbale con la quale attaccano il nemico che, in questo caso, è il loro amico dell'altro giorno. E questo rende tutto ancor più paradossale.
Restano però in campo due ipotesi, una esclude l'altra:
1) Gli esuli di Ipf hanno scoperto improvvisamente, con una epifania o una visione mistica da ayahuasca, che finora avevano fatto solo scempiaggini e hanno iniziato un cammino di redenzione. Un cammino molto statico, visto che sono inchiodati alla poltrona, ma pur sempre nel nome della «responsabilità».
2) Vista la precisione chirurgica con la quale hanno bombardato le magagne del grillismo, sorge il dubbio che si fossero accorti da anni che qualcosa non andava nella sfavillante narrazione pentastellata, ma abbiano aspettato il momento opportuno (a loro) per ribaltare il tavolo (solo quello, non le
sedie).Tutte cose che condividiamo, anzi che diciamo e scriviamo da prima che lo sfascismo grillino esplodesse clamorosamente con l'agguato a Mario Draghi. Meglio tardi che mai, ma almeno i dimaiani ci paghino il copyright...
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