Quel segreto che tutti sapevano

C'erano una volta le fughe di notizie: i verbali scomparivano dagli uffici giudiziari e riapparivano sulle prime pagine dei giornali.

Quel segreto che tutti sapevano

C'erano una volta le fughe di notizie: i verbali scomparivano dagli uffici giudiziari e riapparivano sulle prime pagine dei giornali. Oggi scopriamo che le audizioni teoricamente segrete sono come le Madonne pellegrine portate in processione da un paese all'altro. E in effetti ora sappiamo che le superblindate affermazioni dell'avvocato Amara erano state viste l'anno scorso da una piccola folla di titolate autorità. L'elenco fatto da Piercamillo Davigo nella sconcertante intervista concessa ieri al Corriere della sera lascia sbalorditi: il vicepresidente del Csm David Ermini, il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, il laico leghista Stefano Cavanna, i consiglieri Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, poi l'allora 5 Stelle Nicola Morra.

Molte persone avevano capito almeno a grandi linee che dietro le quinte della celebratissima e per dogma immacolata procura di Milano si combatteva una guerriglia feroce e perfida sulla credibilità di Amara e sulla gestione dei suoi interrogatori.

Davigo, che aveva ricevuto le carte sottobanco dal pm Paolo Storari, si mosse a ventaglio: a Ermini le diede stampate, ad altri le mostrò ma a qualcuno no, a Morra ricordò due volte che era tenuto al segreto che intanto circolava come veleno nelle vene della giustizia italiana. Salvi, secondo questa versione, non apparve neppure sorpreso, segno che probabilmente era già stato informato per altra via. Tutto in ordine sparso, con comportamenti degli autorevoli protagonisti a dir poco naïf. Sembra il segreto di Pulcinella, è l'approssimazione confusa e pasticciata, a meno di non immaginare la malafede, con cui funzionano i meccanismi del potere giudiziario nel nostro Paese. Tutti, a cominciare da Davigo, citano leggi, pareri, circolari che li abilitano ai comportamenti tenuti, ma il cortocircuito è evidente. C'è un degrado dell'istituzione e dei suoi membri che si sono rapportati come condomini alle prese con i loro millesimi e relative beghe, scambiando non si capisce bene se opinioni, allarmi, invettive, considerazioni esistenziali.

Fino alla conclusione paradossale: Nino Di Matteo riceve per posta, altro capitolo oscuro, gli stessi testi e in plenum alza il sipario sull'intrigo, beccandosi ora la reprimenda di Davigo, che per decenza, dopo tutto questo pastrocchio, avrebbe almeno potuto evitare l'imbarazzante tirata d'orecchie al collega.

Sullo sfondo appaiono querelle sbalorditive per chi crede che il Csm non sia come il mercato, o peggio: Davigo all'epoca non parlava

più con l'ex compagno di corrente Sebastiano Ardita e così le incomprensioni personali si mischiano alle regole del diritto. Il segreto intanto correva di bocca in bocca.

Nessuno si è mosso, tanti, troppi erano a conoscenza.

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