Il delitto perfetto: così il killer della famiglia massacrò anche il cane

A 46 anni dalla strage di via Caravaggio restano ancora molti dubbi sul movente del pluriomicidio. "Un movente strumentale, di tipo finalistico", spiega alla nostra redazione la profiler Rosa Francesca Capozza

Screen ricostruzione "Blu notte"
Screen ricostruzione "Blu notte"

Dubbi, ipotesi e un assassino senza volto. Sono trascorsi 46 anni dalla strage di via Caravaggio, il triplice omicidio consumatosi in una palazzina del quartiere Fuorigrotta a Napoli il 31 ottobre del 1975. Domenico Santangelo, Gemma Cenname e Angela Santangelo furono uccisi da uno spietato killer che non risparmiò neanche Dick, il grazioso yorkshire terrier della famiglia Santangelo. Le indagini si conclusero in un nulla di fatto: l'autore della terribile mattanza non fu mai identificato.

Resta il mistero di un massacro senza verità né giustizia. Chi concertò la strage? "In questo caso parliamo di un assassino che stermina una intera famiglia. Si tratta di una persona che ruota intorno a essa, per legami o comunque conoscenza, essendo noto infatti almeno al padre che verosimilmente gli apre la porta di casa per poi farlo accedere nel proprio studio. La tarda ora della visita del killer, oltre le 22.30, fa propendere per una persona con cui vi fosse una particolare familiarità", spiega alla redazione de ilGiornale.it la criminologa e profiler Rosa Francesca Capozza.

La famiglia Santangelo

Una famiglia medio borghese, perbene e molto riservata. Domenico Santangelo, 54 anni, è un ex capitano di lungo corso che, dopo aver smesso la divisa della marina mercantile ed esser stato per 11 anni amministratore condominiale del Rione Lauro, ha deciso di mettersi in proprio lavorando come rappresentante. Ha sposato in seconde nozze Gemma Cenname, 50 anni, ostetrica e insegnate. Dal matrimonio con la prima moglie è nata Angela, 19 anni, impiegata presso gli uffici dell'ente mutualistico Inam nel capoluogo campano. I tre vivono in un appartamento al quarto piano della palazzina al civico 78 di via Caravaggio. In casa con loro c'è anche Dick, cui i Santangelo sono molto affezionati. Una famiglia apparentemente perfetta, al passo coi tempi, in cui regna la serenità. Fino a quando una sera di ottobre l'ombra di uno spietato killer mette fine all'idillio.

Preludio di una strage

È l'8 novembre quando Domenico Zarrelli, nipote di Angela Cenname, si rivolge alla polizia. Da giorni non ha più notizie della zia, le ha telefonato ripetutamente senza mai ricevere risposta. Anche Nicola, il fidanzato di Angela Santangelo, è preoccupato per lo stesso motivo. A seguito della segnalazione, i poliziotti procedono con le verifiche inviando una volante al civico 78 di via Caravaggio. Le finestre dell'abitazione sono chiuse, il contatore della luce è staccato e la macchina di Domenico Santangelo, una Lancia Fulvia color amaranto, non è in garage. Dopo aver suonato a vuoto al campanello, gli agenti richiedono l'intervento dei Vigili del Fuoco per potere ispezionare l'appartamento.

Il ritrovamento dei corpi

Al di là della blindata è il teatro di una strage. Lungo il corridoio si snodano due lunghe scie di sangue che sembrano sfumare verso una piccola porticina sul fondo del passaggio. Tutto il resto dell' appartamento, per quel poco che la luce naturale filtrante dai serramenti chiusi lascia intravedere, sembra perfettamente in ordine. Ed è proprio lì, oltre quella soglia imbrattata di rosso porpora che si nasconde l'orrore.

Non appena gli agenti varcano l'ingresso del bagno s'imbattono nei corpi senza vita di Domenico Santangelo e Gemma Cenname. Sono adagiati l'uno sopra l'altro nella vasca da bagno, completamente intrisi di sangue. Al di sotto dei due cadaveri, avvolto in un plaid, c'è anche il povero cagnolino Dick. L'ultima vittima della strage è Angela: la 19enne viene ritrovata sul letto della camera matrimoniale avviluppata in una coperta. Il killer non ha risparmiato neanche un membro della famiglia Santangelo.

La ricostruzione del pluriomicidio

Una vera e propria mattanza. Dai pochi elementi rinvenuti sulla scena del crimine, gli investigatori ricostruiscono la dinamica del delitto. Il triplice omicidio si è consumato tra le ore 22 e le 5 nella notte tra il 30 e il 31 ottobre. La logica suggerisce che sia stato Domenico Santangelo ad aprire la porta di casa all'assassino salvo poi riceverlo nel suo studio, a pochi passi dall'ingresso. Nel contempo Gemma sarebbe stata affaccendata in cucina. Angela invece si trova nella camera da letto dei genitori: quella sera non ha cenato per via di un malessere.

Il killer aggredisce dapprima Domenico colpendolo alla testa con un oggetto contundente, poi gli recide la gola con un coltello. A quel punto è il turno di Gemma, sorpresa alle spalle mentre è intenta a sparecchiare la tavola. Infine c'è Angela che non fa in tempo a spalancare la porta della stanza per soccorrere i familiari da ritrovarsi faccia a faccia con l'aggressore: il macabro rituale omicida si ripete per la terza e ultima volta. Il cagnolino Dick viene soffocato con una coperta e gettato nella vasca da bagno.

Dinamica della mattanza

Il killer ha operato sulla scena del delitto con lucidità e freddezza attuando un modus operandi da criminale scaltrito. "Da una parte l'assassino è come se cercasse di schermarsi psicologicamente dall'emotività di un primo e immediato contatto omicidiario, procedendo per gradualità, ovvero prima il tramortimento e successivamente l' accoltellamento - spiega alla nostra redazione la criminologa Rosa Francesca Capozza - Dall'altra quest'ultima azione gli consente di essere sicuro di aver ucciso le sue vittime. Il particolare accanimento sul ventre della figlia rivela però problematiche inerenti il rapporto con il femminile".

I cadaveri dei coniugi Santangelo sono stati trascinati lungo il corridoio e infine deposti nella vasca da bagno. "L'undoing, ovvero la deliberata modificazione della scena del crimine, è normalmente motivato da un senso di compassione che induce il killer a distanziarsi simbolicamente dall'accaduto, quasi a ridurlo o negarlo - chiarisce l'esperta - La figlia infatti viene avvolta in coperte e adagiata sul letto. La collocazione dei coniugi invece, trasportati nella vasca da bagno, può rispondere al tentativo, tipico nel killer impulsivo e che agisce senza pianificazione, di dare 'una sistemazione' alla scena, talvolta anche propedeutico a un successivo tentativo di ripulitura della stessa".

Le indagini

Nessuno dei residenti di via Caravaggio ha visto né sentito nulla. Tuttavia, a distanza di pochi giorni dalla strage, spunta una testimonianza. Un uomo di "corporatura robusta" sarebbe stato avvistato alla guida della Lancia Fulvia di Domenico Santangelo la notte della strage. Nel mirino degli inquirenti finisce Domenico Zarrelli, il nipote 30enne di Gemma Cenname, sospettato per via di alcuni screzi che avrebbe avuto in passato con la zia. Inoltre Zarrelli riporta alcune ferite alle mani che, secondo gli investigatori, sarebbero compatibili con dei tagli. Tanto basta per fare del giovane un potenziale killer nonostante sulla scena del crimine non vi siano tracce del suo passaggio.

Successivamente, in casa dei Santangelo viene rilevata l'impronta di una calzatura numero 46 e alcuni mozziconi di sigarette Gitanes. Zarrelli calza il numero 42 e fuma le HB. La Fulvia amaranto di Domenico Santangelo viene ritrovata in via Marina, nelle vicinanze del porto di Napoli, intonsa e senza alcuna traccia di sangue al suo interno.

Odissea giudiziaria

È una lunga e tortuosa odissea giudiziaria quella di Domenico Zarrelli. Il 25 marzo del 1976 viene tratto in arresto. Due anni dopo – il 9 maggio 1978 – il giudice del processo di primo grado decide per l'ergastolo. Nel 1981 il giovane viene assolto in appello per "insufficienza di prove", ma successivamente la Corte di Cassazione annulla la sentenza. Il 18 marzo del 1985 giunge l'assoluzione definitiva da parte della Corte d'assise d'appello "per non aver commesso il fatto". La fine di un incubo per Domenico Zarrelli che dopo ben 18 anni di battaglie legali, difeso dall'avvocato e fratello Mario Zarrelli, è finalmente un uomo libero. Nel 2007 ottiene un risarcimento per "danni morali e materiali" di circa un milione e 400mila euro.

La riapertura del caso nel 2011

Su spinta di una lettera anonima, firmata da ignoti con lo pseudonimo Blue Angel, nel 2011 la Procura di Napoli decide di riaprire il fascicolo sulla strage di via Caravaggio. Stando a quanto riportano le cronache dell'epoca, dall'esame di alcuni reperti sarebbero emerse tracce di Dna compatibili con il profilo di Domenico Zarrelli. L'ex indagato asserisce di non essere mai stato sottoposto ad alcun test genetico, bollando la vicenda come un mero tentativo di discredito volto a danneggiare la sua immagine pubblica. Inoltre, per il principio del ne bis in idem, non può essere processato una seconda volta con la stessa ipotesi di reato.

Nel 2015 il gip del tribunale di Napoli Livia De Gennaro dispone "l’archiviazione del procedimento", scrivendo parole molto critiche sull’attività della Procura: "A fronte della assoluta inaffidabilità degli esiti investigativi, l’unico dato incontrovertibile e certo è costituito dalle sentenze passate in giudicato che hanno assolto Domenico Zarrelli ritenendolo estraneo ai fatti del delitto di via Caravaggio e questa verità processuale, l’unica a cui ogni operatore del diritto è tenuto ad attenersi, avrebbe dovuto indurre a riflettere sulla opportunità di disporre indagini aventi ad oggetto la comparazione del profilo genetico tratto dai capelli attribuiti a Domenico Zarrelli con i reperti rinvenuti".

Il movente del delitto

A quasi 50 anni dalla mattanza restano ancora molti dubbi sul movente del delitto. Al tempo delle indagini preliminari gli inquirenti ventilarono altre due ipotesi. La prima riguarda una presunta relazione clandestina che la giovane Santangelo avrebbe intrattenuto con un collega di vent'anni più grande, già impegnato, e dal quale - si mormorò all'epoca - fosse in dolce attesa. La seconda fa riferimento ai trascorsi di Domenico Santangelo, dedito al vizio del gioco (sovente avrebbe chiesto dei prestiti alla figlia) e, forse, coinvolto in un losco giro d'affari. Una vendetta? Un delitto passionale?

"Il movente più probabile appare essere strumentale, ovvero finalistico all'ottenimento di un guadagno materiale di varia natura, considerando che l'azione omicidiaria ha cominciato a dipanarsi a partire dalla figura del padre - ipotizza la criminologa - Sicuramente la possibilità di eseguire un'autopsia psicologica su ciascuna delle vittime, ricostruendo per ognuna stile di vita, abitudini, conoscenze, frequentazioni, problematiche, progetti, eventuali cambiamenti, stato emotivo (paure, timori, apprensioni) negli ultimi periodi, accadimenti nell'ultima settimana, consente di poter acquisire elementi particolarmente significativi al fine della ricostruzione quanto più incontrovertibile delle motivazioni che hanno spinto un preciso uomo a divenire, nel giro di poche ore, un killer".

Chi è l'assassino?

Una strage che, salvo improbabili colpi di scena, sembra destinata a restare impunita. Chi ha sterminato la famiglia Santangelo? "In questo caso parliamo di un assassino che stermina una intera famiglia - conclude la dottoressa Capozza - Si tratta di una persona che ruota intorno a essa, per legami o comunque conoscenza, essendo noto infatti almeno al padre che verosimilmente gli apre la porta di casa per poi farlo accedere nel proprio studio. La tarda ora della visita del killer, oltre le 22.30, fa propendere per una persona con cui vi fosse una particolare familiarità. La scena del crimine rileva elementi di disorganizzazione: tracce consistenti e ben visibili, cadaveri lasciati in bella mostra, assenza di pianificazione (il killer ha utilizzato strumenti atti a offendere presenti sulla scena).

Si tratta però di una persona lucida e determinata, verosimilmente un giovane uomo robusto, forte (capace di spostare e alzare pesi rilevanti) e d'età compresa tra i 30 e i 45 anni, che potrebbe aver ucciso essendosene presentata l'occasione, senza quindi una reale pianificazione".

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