nostro inviato a Torino
A chi può aver dato fastidio un innocuo consigliere comunale? Chi può avergliela giurata al punto da tendergli un agguato, nel cortile di casa e da sparargli contro sei colpi di pistola?
Sono i due ingombranti interrogativi che stanno lì, sospesi, sopra l’androne di via Barbaroux, civico 35, a due passi da piazza Castello, nel centro storico di una Torino che, ieri mattina, si è svegliata con il frastuono di una notizia incredibile: l’attentato ad Alberto Musy, 44 anni, capogruppo dell’Udc in consiglio comunale, avvocato del lavoro e docente universitario.
Un piano ben studiato, quello di chi voleva la morte di Musy. Con una ricostruzione che, grazie ad alcune testimonianze, e alle telecamere di sicurezza della casa che hanno ripreso l’aggressore sia pure mascherato, potrebbe portare presto ad una svolta. L’agguato è avvenuto attorno alle 8,30, quando un uomo, che indossava un casco integrale bianco e un impermeabile lungo e scuro, ha suonato il campanello di un vicino di casa dell’avvocato e si è fatto aprire la prima porta d’accesso al condominio, dicendo che doveva consegnare un pacco. Una volta in cortile, l’attentatore si è nascosto e ha atteso che Musy rientrasse a casa. Come ogni mattina, infatti, l’avvocato era uscito alla solita ora per accompagnare tre delle sue quattro figlie all’asilo e a scuola. Solo che, e questo è un dettaglio fondamentale, non sempre, dopo averle accompagnate rientrava a casa. Diciamo che lo faceva di tanto in tanto e non certo in giorni ben precisi. Fatto sta che ieri, sfortunatamente per lui, lo ha fatto. E, appena varcato il portoncino, si è accorto di quell’uomo acquattato con casco in testa e gli ha chiesto che cosa ci facesse lì. Per tutta risposta il misterioso aggressore ha estratto una pistola calibro 38 e ha esploso sei colpi. Tre sono andati a segno e hanno ferito Musy a un braccio, alla spalla e al torace. L’avvocato ha cercato di scappare ma l’attentatore lo ha rincorso, con il chiaro intento di ucciderlo. Così gli ha sparato ancora e lo ha colpito alla schiena. L’avvocato è caduto a terra mentre l’attentatore si dileguava a piedi, per raggiungere una moto parcheggiata poco distante a bordo della quale lo attendeva un complice. La prima a soccorrerlo è stata sua moglie, Angelica, alla quale l’avvocato, prima di perdere conoscenza, è riuscito a dire: «Non lo conosco, non so chi possa essere stato, ma stamattina mi sentivo seguito». Poi la corsa alle Molinette, dove i medici gli hanno riscontrato un ematoma cerebrale, associato ad una frattura parietale destra, di cui è ancora dubbia l’origine, se cioè sia stata provocato dalla caduta dopo il ferimento, oppure da una scheggia di proiettile e lo hanno sottoposto ad un intervento durato oltre quattro ore. Le prossime 48 ore saranno determinanti, ma i medici non lo ritengono in pericolo di vita, anche se è tenuto in coma farmacologico. E qui torniamo alle domande da cui siamo partiti. Chi poteva voler morto un tipo tranquillo, anzi, come i suoi amici lo definiscono, uno «dai modi gentili» come Musy? Anche se gli investigatori non tralasciano alcuna pista, il movente del terrorismo politico sembra davvero quello meno realistico. La moglie di Musy è stata ascoltata a lungo nel pomeriggio dagli inquirenti, come pure la sorella Antonella, che, con lui, condivide lo studio «Musy Bianco e Associati», che si occupa, tra l’altro, di cause di lavoro e fallimenti. Inevitabile quindi che si indaghi anche nella vita privata e professionale e si pensi quindi ad una vendetta. Professore ordinario di diritto privato comparato all’Università del Piemonte Orientale, Musy, orgoglioso tifoso del «Toro», ha insegnato alla Bocconi di Milano e in molte altre università del mondo. Politicamente parlando ha militato a lungo nelle file della Gioventù liberale italiana, quindi l’anno scorso è stato candidato sindaco per la coalizione del Nuovo polo per l’Italia incassando oltre 22mila preferenze. Ma Musy ricopre anche diversi incarichi societari di rilievo.
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