Torri, affreschi e chiese antiche. Un colpo feroce ai nostri capolavori

Arquata, Amatrice, Accumoli: ecco le opere a rischio in una terra ricca di capolavori medievali e rinascimentali

Torri, affreschi e chiese antiche. Un colpo feroce ai nostri capolavori

Non è bastata la Sacra Sindone, conservata in una fedelissima riproduzione del tempo di Federico Borromeo nella chiesa di San Francesco nella frazione di Borgo, a proteggere Arquata del Tronto, al confine tra Marche e Lazio, dall'inspiegabile castigo di Dio rappresentato dalla violenza del terremoto. Arquata è uno dei centri importanti, e ricchi e poetici, che ha avuto il suo patrimonio mutilato. Ma in San Francesco la situazione non appare disperata. All'interno della chiesa vi sono molti altari lignei di teatrale evidenza. Lo spazio è diviso in due navate, con colonne su base quadrata, in conci di pietra, il soffitto è a cassettoni quadrangolari. La cantoria lignea è su una colonna di pietra arenaria con la base ottagonale, in dialogo con il pulpito su colonne tortili, e con il pregevole coro del Quattrocento. Lì ritroveremo, ma non vorremmo attendere, per limitate riparazioni, il tempo infinito che in Emilia e, in particolare a Ferrara, impone la chiusura delle più belle chiese della città. Una vergogna di Stato nella città del ministro per i Beni culturali, per inerzia, per negligenza, che dovremo scongiurare per i borghi meravigliosi feriti in questa occasione, in un territorio fortunatamente limitato. Nella chiesa di San Francesco sulla parete di sinistra, dopo l'altare della Madonna del Rosario vi è un affresco datato 1527, in relazione con la scuola di Cola dell'Amatrice. Pregevoli anche le due statue di San Francesco e di Sant'Antonio, una in terracotta, l'altra in legno. La replica della Sacra Sindone, assai fedele, è in un unico panno tessuto in filo di lino, con trama e ordito perpendicolari, di 440 x 114 cm, ed è documentato dal 1° maggio 1655. Arquata ha anche una fondazione-museo legata a due artisti, Diego Pierpaolo ed Emiliano Albani, che hanno dato il via a una notevole scuola pittorica, la fonofigurazione, fondata sulle relazioni tra musica e pittura.

Poco prima di Arquata venendo da Ascoli, ha subito danni un luogo mirabile, Castel di Luco: una costruzione fortificata, di insolita forma ellittica, sulla sommità di uno sperone di travertino, ora ferita negli interni affrescati. È dolorosa la vanificazione degli sforzi dei proprietari che da anni stavano amorevolmente restaurandola. Ben più grave è la situazione di Amatrice, a soli 18 chilometri da Arquata, ma già in territorio laziale, lungo un percorso che tocca Accumoli, da cui giungono notizie assai poco rassicuranti. Tra le cose notevoli di questo paese, un tempo integro e pittoresco, la più eminente probabilmente era la torre civica, del XII secolo, storico simbolo delle libertà comunali, larga di pianta, quadrata e slanciata, unica in tutta la valle del Tronto. Alla sinistra della torre civica vi era il palazzo del Podestà a blocchi di arenaria squadrati e lisci con due larghe arcate a piano terra, poco lontano dal palazzo Del Guasto dove predicò, tra il 1427 e il 1433, San Bernardino. Di grande importanza, ad Accumoli, sono i palazzi - certamente lesi - Marini, Cappello e Organtini. Il primo esibiva un portale incorniciato da un motivo bugnato a punta di diamante, e da colonne tortili con capitelli ionici. All'interno vi sono notevoli affreschi del primo Seicento sotto soffitti a cassettoni. Il secondo, palazzo Cappello, era un edificio a cinque piani costruito tra il XVI e XVII secolo nel punto più alto di Accumoli, in prossimità della rocca. Si tratta di un notevole palinsesto di parti edificate in tempi distinti: la più antica, cinquecentesca, è in pietra a vista squadrata, con finestre monumentali; i diversi piani sono collegati da una scala elicoidale con gradini in arenaria incastrati nel muro, di progettazione complessa e rara. Bisogna sperare che sia sopravvissuta l'entrata monumentale del palazzo, che portava a un cortile interno con un loggiato su tre ordini di colonne in arenaria con capitelli corinzi ai primi due piani e dorici al terzo. Il terzo palazzo, Organtini, ha grandi sale affrescate con i consueti soffitti a cassettoni.

Infine, Amatrice. Resta eretta come un simbolo la torre civica e spero salve anche le sole opere del grande pittore Cola dell'Amatrice, assai vicino a Raffaello: le due tavole con Giovanni Evangelista e Maddalena e con i santi Pietro e Paolo, a quanto ricordo depositate nel circolo culturale cittadino Nicola Filotesio. Nel centro storico sono cadute le torri campanarie della chiesa di Sant'Agostino, sede della Pinacoteca civica, con un mirabile portale gotico e importanti affreschi precedenti Cola dell'Amatrice, anch'essa colpita. Altri preziosi affreschi appaiono compromessi nelle chiese di Sant'Emidio e di San Francesco. La facciata di quest'ultima, di impianto abruzzese, ha un rosone e un portale gotico di marmo.

Ora la prova più difficile sarà la ricostruzione, che non tradisca la memoria e sia rispettosa delle pietre. Come non è accaduto per molti borghi dimenticati, o orridamente riedificati in anonime new town, intorno all'Aquila.

Ma Arquata, Accumoli e Amatrice sono centri essenziali per l'arte italiana. Per il Medioevo e per il Rinascimento. E non dovranno finire come rovine abbandonate, per vergogna di uno Stato impotente davanti a un glorioso e obliato (e, ancor più, obliabile) passato.

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