L’avevano trovata sotto un cumulo di foglie secche, quasi una vera e propria tomba, accanto a un fosso, dopo che era stata colpita forse con un sasso o con un altro corpo contundente dalla forma arrotondata e dopo che era stata strangolata.
Questa è stata la fine per Irina Bacal, 20 anni moldava, ma che dal 2012 lavorava a Conegliano, in provincia di Treviso. Faceva la cameriera in un hotel e da grande sognava di fare la parrucchiera. Aveva anche preso la patente, si era messa a studiare, ma quel figlio, quel bambino che teneva in grembo da sei mesi, non rientravano nei progetti di vita del suo ex e il suo assassino ha ammazzato anche lui.
Il tribunale di primo grado, con rito abbreviato, aveva condannato a 30 anni per l’assassinio di lei lo stesso padre del nascituro: Mihail Savciuc, 19 anni, moldavo, studente al quarto anno in una scuola media superiore, residente a Godega di Sant' Urbano, nel trevigiano e che ora si è rimesso a studiare. Una condanna oggi confermata dalla sentenza della Corte d'Assise d’Appello di Venezia, nell’aula bunker di Mestre.
“Yes, trent’anni a un criminale, assassino”, ha esultato con le braccia al cielo la madre di Irina, al termine del pronunciamento della sentenza. “Grazie, grazie a tutti”, ha commentato, e poi quel lungo abbraccio con l’avvocato che l’ha assistita, Andrea Piccoli del Foro di Treviso, con lo Studio 3A di Mestre. Piccoli ha chiesto che fosse confermata la sentenza pronunciata dal tribunale di Treviso, “che è solida e rispecchia l’impianto accusatorio se si eccettua il mancato riconoscimento della premeditazione”. L’avvocato di parte civile ha ricordato come Savciuc, oltre a Irina, abbia messo fine alla vita di un feto già formato. Il ventenne moldavo era stato arrestato con l'accusa di omicidio quando quella notte tra il 22 e il 23 marzo 2017, dopo due ore di interrogatorio, aveva confessato di aver ucciso dopo una lite Irina.
L'omicidio risale a domenica 19 marzo 2017 a Manzana, una località tra Conegliano e Vittorio Veneto. I due, che non stavano più insieme (Mihail aveva un’altra fidanzata), stando alla ricostruzione dei fatti, si erano incontrati per un chiarimento in un boschetto, ma quel chiarimento è degenerato. Di Irina e di quel bambino lui non voleva assolutamente sentir parlare e voleva che lei abortisse. Irina invece quel bambino avrebbe voluto tenerlo. Quella sera lei è stata colpita al volto e alla testa, con un sasso o forse con un tubo di ferro, più volte. Poi è stata strangolata. Mihail poi ha occultato il corpo vicino al fosso e l'ha seppellito sotto una montagna di foglie. L'ha derubata dei gioielli che indossava, dei documenti e ha fatto sparire borsa e cellulare.
La madre di Irina si era subito rivolta alle forze dell'ordine per denunciarne la scomparsa e subito partirono le indagini da parte degli investigatori della squadra mobile di Treviso, guidati dal dirigente Claudio Di Paola. Mihail aveva venduto i gioielli a un "ComproOro" e questo aveva permesso agli investigatori di incastrarlo. Le forze dell'ordine andarono a prenderselo all'uscita da scuola. È stato il ragazzo poi, dopo ore di interrogatorio, a confessare davanti al pm e ad accompagnare gli investigatori sul luogo del delitto dove aveva nascosto il cadavere.
"Trent'anni sono una pena eccessiva, ha 19 anni, prospettive ne ha data la giovane età - ha detto prima del pronunciamento della sentenza l'avvocato difensore Giorgio Pietramala che segue da un mese il suo assistito - mi risulta che abbia mandato una lettera e che abbia chiesto scusa pubblicamente alla famiglia. Abbiamo a che fare con un ragazzino di 19 anni, fatti ben più gravi sono stati sanzionati con una pena uguale, fatti commessi da adulti e non da un diciannovenne".
Oggi Mihail era presente in aula. Ma non ha proferito parola. "Non riusciva a parlare nemmeno con me", ha detto Pietramala. "Mia figlia non c'è più - ha detto la madre prima della sentenza - assassino sarà fuori e mia figlia non c'è più. Niente non abbiamo visto, nessuna scusa, questo omicidio è stato premeditato". "Ci sono state quattro righe vergate a mano, presentate il giorno prima dell'udienza preliminare - ha detto l'avvocato della madre, Piccoli - io questo non lo chiamo pentimento".
Il giudice, per il risarcimento dei danni da liquidarsi in sede civile, ha anche riconosciuto una provvisionale già esecutiva di 200mila euro a favore della mamma Galia e di 80mila euro per la sorella Cristina.
“Soldi che non vedremo mai”, ha commentato Piccoli.“Me l’aspettavo – ha detto Pietramala che ha già annunciato il ricorso in Cassazione – l’abbreviato non consente pene intermedie: o danno trent’anni o venti. Evidentemente hanno ritenuto opportuno così”.
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