Ecco il "metodo Open Arms" per portare migranti in Italia

La procura che indaga sulla ong spagnola svela i trucchi usati dagli attivisti per impedire l'intervento delle navi di Tripoli

Ecco il "metodo Open Arms" per portare migranti in Italia

«Andiamo in Italia, in Italia... Aspettate» ripete due volte un «umanitario» dell'Ong spagnola Proactiva Open arms mentre recupera i migranti a bordo di un gommone al largo della Libia. E un altro aggiunge di attendere che «la nostra nave sta arrivando» per portarli in Sicilia sfidando apertamente la motovedetta grigia dei libici giunta sul posto. Una di quelle donate dall'Italia per contrastare l'immigrazione clandestina. Il tutto filmato dalle go pro, le mini telecamere montate sull'elmetto dei soccorritori di Open arms. Video che il Giornale pubblica sul sito.

Il 4 luglio il procuratore capo di Ragusa, Fabio D'Anna, e il sostituto Santo Fornasier firmano la richiesta di rinvio a giudizio per il capitano Marc Creus Reig e Ana Isabel Montes Mier, capo missione dell'Ong spagnola, che il 18 marzo dello scorso anno sbarcavano a Pozzallo 216 migranti. La procura li accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e di «violenza» (morale) per avere obbligato le nostre «autorità a concedere l'approdo in un porto del territorio italiano».

Negli atti, in possesso del Giornale, vengono ricostruite nei dettagli le mosse della Ong spagnola, un vero e proprio «metodo» per fare arrivare da noi i migranti, in gran parte senza diritto all'asilo. Gli eventi dimostrano, secondo la procura, come «l'unico vero obiettivo dell'Ong non fosse quello umanitario di salvare i migranti, ma (...) di portarli ad ogni costo in Italia in spregio alle regole». Al governo, ancora per qualche giorno, c'è il centrosinistra di Gentiloni, a Tripoli non era scoppiata la guerra e Proactiva Open arms aveva sottoscritto il Codice di condotta del ministro dell'Interno Marco Minniti, che obbliga le Ong a non intralciare le operazioni della Guardia costiera libica.

Alle 4 e 35 del mattino del 15 marzo 2018, nave Open arms scopre dal Centro di soccorso della Guardia costiera a Roma (Imrcc), che tre gommoni carichi di migranti sono partiti dalla Libia. L'elicottero di Nave Alpino, della marina militare, li ha avvistati e comunica che sono «tutti in buono stato di galleggiabilità» e le «condizioni meteo» non destano preoccupazione. Alle 9.30 del mattino gli spagnoli rintracciano il primo gommone, che «fino a poco prima dell'intervento di Open arms era in perfetto assetto di navigazione». Guarda caso alcuni migranti sono in acqua e vengono tutti portati a bordo.

La Guardia costiera di Tripoli ha già assunto dalle 6.45 del mattino la responsabilità dei soccorsi, ma gli spagnoli se ne fregano nonostante le ripetute richieste del centro di Roma e libiche «di rimanere fuori vista». Per arrivare prima dei libici Open arms lancia in avanscoperta due natanti di salvataggio veloci (Rhib). Alle 14.18 individuano il secondo gommone, ma sul posto arriva una motovedetta italiana che abbiamo donato a Tripoli, la Ras al Jaddar. Open arms denuncia che i libici vogliono aprire il fuoco e con il megafono il comandante intima in stentato inglese la consegna dei migranti altrimenti «vi uccido». Dai filmati delle go pro dei soccorritori salta fuori tutta un'altra storia. «Nessun concreto atteggiamento minaccioso è stato posto in essere dai libici, i quali si sono sempre tenuti a debita distanza dai gommoni dei soccorritori e di quello dei migranti fino all'arrivo della nave madre» si legge nell'appello contro il rigetto della misura cautelare per gli indagati. E «non si dà atto dell'uso o della minaccia delle armi». In pratica «è stata rappresentata una situazione altamente drammatica verosimilmente al solo fine di giustificare la loro inosservanza (di Open arms, nda) alle indicazioni provenienti da Imrcc Roma (di collaborare con Tripoli nda) e costringere i libici a desistere dall'opera di soccorso». Non solo: «Open arms pur di costringere i libici ad abbandonare il campo (...) non ha avuto scrupoli ad attivare il pulsante antipirateria (...) simulando una situazione di emergenza inesistente».

I video delle go pro mostrano, al contrario, che i gommoni veloci spagnoli si piazzano fra la motovedetta e i migranti con l'intento di ostacolarla. Non si capisce bene se il comandante dell'unità navale di Tripoli pronuncia la frase minacciosa «vi uccido» se non ci lasciate i migranti, ma una perizia audio della procura stabilisce che alla fine chiede la loro consegna quasi per favore. In questo frangente gli «umanitari» ripetono ai migranti sul gommone «andiamo in Italia... Aspettate». E poi dicono sempre in inglese «la nostra nave sta arrivando» riferendosi all'imbarcazione madre Open arms poco distante e di nuovo «andiamo in Italia». La dimostrazione per l'accusa della premeditazione dello sbarco a casa nostra.

Non solo: «L'intervento della Open arms ha potenzialmente messo a repentaglio la vita dei migranti, posto che alcuni di loro, già tratti in salvo dalla motovedetta libica, non hanno esitato a gettarsi in mare rischiando di annegare (...), pur di raggiungere il loro obiettivo, ovvero non quello di essere tratti in salvo, ma di raggiungere l'Italia (...)».

I libici desistono, ma il «metodo» Open arms entra nella seconda fase. Gli spagnoli tempestano il centro di soccorso di Roma chiedendo il famoso «Pos», «luogo sicuro» di sbarco. Dal comando della Guardia costiera rispondono che devono rivolgersi a Malta, il porto più vicino. Pure il centro di soccorso spagnolo ribadisce lo stesso concetto, ma dalla conversazione telefonica fra Madrid e Open arms «emerge a chiare lettere la malafede del comandante della motonave», che non ha nessuna intenzione di sbarcare i migranti a La Valletta. Creus, nell'interrogatorio dopo l'arrivo in Italia, dichiara che il rifiuto era dettato dal fatto che «nell'ultimo anno non è mai stato fatto uno sbarco di migranti a Malta (...) La persona che mi ha consigliato di andare verso nord, è Gerard Canals, coordinatore generale dell'Ong».

Il 18 marzo 216

migranti sono sbarcati a Pozzallo. Comandante e capo missione vengono indagati, ma nonostante la ricostruzione del «metodo» Open arms, la nave viene velocemente dissequestrata per tornare a caccia di migranti nel Mediterraneo.

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