L'ergastolano Cataldo Franco, condannato per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, ha ottenuto la detenzione domiciliare per il rischio Covid-19. L'uomo, originario della provincia di Palermo oggi ha 85 anni ed era recluso al carcere Opera di Milano. Il suo nome è legato al sequestro del piccolo Giuseppe, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, che nell'estate del 1994 tenne segregato il bambino per circa due mesi. Stando alle motivazioni dell'ordinanza, l'uomo è anziano e malato ed è tornato nella sua casa di Geraci Siculo, sempre in provincia di Palermo, dove finirà adesso di scontare la sua pena. Il motivo della detenzione domiciliare è da collegare all'emergenza sanitaria di questi mesi e per il pericolo che potesse contrarre in carcere il coronavirus. Secondo i giudici la decisione è arrivata per cercare di ridurre il numero delle persone detenute all'interno degli istituti penitenziari italiani nell'attuale periodo di emergenza sanitaria. Franco è stato uno dei tanti carcerieri di Di Matteo e che riportò indietro all'inizio della stagione delle olive, perché gli serviva il capanno in cui veniva tenuto segregato il ragazzino. Fu l'ultimo passaggio prima, che i Corleonesi decidessero di spostarlo in un altro luogo, dove fu successivamente assassinato e sciolto nell'acido su ordine di Giovanni Brusca il 12 gennaio 1996.
La decisione di dare i domiciliari a Cataldo Franco rischia però, di aprire un vespaio di polemiche nell'infuocata vicenda che ha visto il Dap - il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - al centro di una serie di polemiche per la scarcerazione dei boss e soprattutto perché arriva in un momento storico delicato con un'emergenza sanitaria, economica e sociale senza precedenti. Il nome di Cataldo Franco non è uno qualunque, il suo nominativo rientra lista dei 370 che, temporaneamente, proseguiranno di scontare la propria pena nelle loro abitazioni. Nell'elenco figurano i nomi di boss del rango del camorrista Pasquale Zagaria, i siciliani Francesco Bonura e Vincenzo Di Piazza, lo 'ndranghetista Vincenzo Iannazzo e il boss Antonino Sudato. Detenuti di spicco della camorra, della 'Ndrangheta e di Cosa nostra, adesso "liberi" di terminare la loro detenzione ai domiciliari. Personaggi di ogni tipo, o comunque legati, alle cosche e operativi sul piano criminale. L'allarme è stato lanciato la stessa Maria Falcone, sorella di Giovanni, che predica attenzione con le scarcerazioni dei boss reclusi al 41/bis. "Dobbiamo stare molto attenti ai reclusi per mafia - dice -. Devono stare al 41 bis perché è l'unico modo per non farli comunicare con l'esterno. Il mafioso, fuori dal carcere, torna subito a dettare legge, anche se chiuso nelle mura domestiche". Lo stesso sindaco Leoluca Orlando, in occasione delle altre scarcerazioni eccellenti, aveva manifestato tutta la sua perplessità. "Il 41 bis è la migliore forma di tutela della salute - dice -, nel momento in cui da mesi si sostiene che l'isolamento e la quarantena sono le forme migliori di prevenzione".
La scarcerazione di questi boss preoccupa le procure e la Dda di Palermo perché soggetti di tale spessore criminale potrebbero avere ancora un ruolo cruciale e farli ritornare nelle loro abitazioni in questo momento potrebbe essere un clamoroso autogol. Intanto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si difende dalle accuse, ma qualche giorno fa ha dimissionato il direttore del Dap Francesco Basentini, reo di aver gestito male le rivolte carcerarie e le scarcerazioni dei mafiosi.
Al suo posto arrivano al Dap il nuovo capo Dino Petralia, da sempre in prima linea nella lotta alla mafia soprattutto in Sicilia e Calabria, e il suo vice Roberto Tartaglia direttamente dalla commissione parlamentare Antimafia. Intanto chi paga le conseguenze di queste scarcerazioni eccellenti sono le vittime della mafia- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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