Parlare di pericolo per la democrazia oggi in Italia è stucchevole, per alcuni versi ridicolo, ma soprattutto deviante: chi lo evoca è perché o non ha idee, o le ha antiquate, o fa parte di un'alleanza, di una coalizione, di uno schieramento ideologico per cui ogni proposta di buonsenso determina una polemica interna, un distinguo. Enrico Letta vive questa difficile condizione. Guida un partito di cui una parte è in sofferenza e l'altra ha ancora nostalgia del populismo di sinistra, del Conte due, del rapporto con i grillini. E non lo nasconde (vedi Goffredo Bettini). Così in questa deprimente campagna elettorale e con un autunno che si prospetta davvero problematico per la nostra economia il segretario del Pd non è riuscito a proporre più di una mezza patrimoniale per poi rifugiarsi nell'universo dei diritti civili con lo ius scholae, il matrimonio egualitario e la cannabis. Altro non ha potuto tirar fuori dal cassetto altrimenti dopo aver perso Calenda rischiava di dover fare a meno anche della strana coppia Bonelli-Fratoianni.
Messo così, cioè male, non gli è rimasto che rispolverare l'armamentario che dal '94 la sinistra usa a più non posso, la solita scorciatoia: il centro-destra o la destra italiana, il lessico cambia a seconda delle stagioni, è un pericolo per la democrazia. Ha riproposto le foto di Giorgia Meloni in camicia nera anche se non era ancora nata durante il ventennio, le ha chiesto un'abiura definitiva e dopo averla avuta le ha ordinato di cancellare dal simbolo di Fdi la fiamma. A Salvini ha rinfacciato un viaggio in Russia mai fatto e l'atteggiamento sull'Ucraina, dimenticando che la Lega i provvedimenti per aiutare Kiev, a cominciare da quelli sulla fornitura di armi, li ha votati tutti a differenza dell'amor tradito ma mai sopito Giuseppe Conte. Infine ha tentato di crocifiggere il Cavaliere su un'opinione - scontata anche per monsieur de La Palice - che considera naturali, in caso di introduzione del sistema presidenzialista cioè di un Capo dello Stato eletto dal popolo (sono trent'anni che se ne parla e non si sa quando si farà), le dimissioni del Presidente eletto dal Parlamento, nel caso Mattarella, ma avrebbe potuto chiamarsi pure pinco pallino.
Tutte polemiche noiose, inventate con un unico scopo: nascondere un «gap» programmatico. Ora Letta può usare la strategia che preferisce, ha anche la mia solidarietà visti i guai in cui si trova, ma ritornare a delegittimare l'avversario, considerarlo un pericolo per le nostre istituzioni, parlare di fascismo questo sì che mina la nostra democrazia. E fa specie che innalzi nuove barriere un personaggio che si atteggia come un parente stretto di Aldo Moro, lo statista che ha speso un'esistenza e la propria vita proprio nel tentativo di legittimare l'avversario (all'epoca i comunisti) e di dare all'Italia una democrazia compiuta.
Purtroppo, però, così va il mondo. Si parla spesso di democrazia a sproposito. La si tira in ballo solo nella versione che fa comodo al momento. Inseriamo la questione in un simulatore di fatti. Immaginate se fosse stato introdotto in questa legislatura il presidenzialismo, con il gradimento che aveva sei mesi fa Mario Draghi sarebbe stato eletto dal popolo alla faccia dei partiti, Mattarella si sarebbe dimesso e la bandiera del Dragone sventolerebbe ora sul Quirinale. In quel caso state sicuri che nessuno avrebbe parlato di pericolo, ma semmai di trionfo della democrazia.
Già, il «pericolo democratico» è un'arma contundente che si usa contro gli avversari quando si rischia di perdere. Con il paradosso che il partito che ha questa annosa abitudine, cioè il Pd, negli ultimi dieci anni non ha mai vinto un'elezione ma è sempre stato al governo. In barba alla democrazia.
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