Quando a scuola si studia l'empirismo inglese si parte da John Locke (famosissimo anche per la sua Lettera sulla tolleranza, un pamphlet rilevante in questo contesto), si passa da George Berkeley, che in realtà era irlandese, e si arriva a David Hume, che era scozzese, celebre per essere così scettico da ritenere di non potere affermare con certezza nemmeno che il sole sorgerà domattina. Osservò una volta il mio professore (allora) di Filosofia della Storia, Massimo Marassi, all'Università Cattolica di Milano: «È difficile essere uno scettico lacerato». È ovvio che avesse ragione. Oggi è difficile essere uno scettico lacerato, come Hume, un empirista tollerante, come Locke, e perfino uno scettico molto credente, come Berkeley. Berkeley è il filosofo dell'esse est percipi, che significa: essere è essere percepito. Non esiste questa tastiera in quanto materia, essa esiste in quanto percepita da noi. Lasciamo stare che tutti, o quasi, nel Settecento lo prendessero in giro, e poi Popper nel '900 si sia accorto che questo vescovo irlandese fosse un genio; lasciamo stare che tanta fisica all'avanguardia ci dica qualcosa di simile; ma Berkeley è stato anche un insigne grecista, tanto da dare il nome a due medaglie assegnate dal Trinity College di Dublino dalla metà del Settecento. E la sua università, dove ha insegnato e pubblicato, gli ha dedicato la Biblioteca, nel 1978. Però si è scoperto che nel 1730 Berkeley ha comprato quattro schiavi, per farli lavorare nelle sue proprietà in Rhode Island. Non solo: ha anche sostenuto la schiavitù come ideologia, dicono dal Trinity, che, dopo accurato studio e dibattito e sondaggio, ha deciso di togliere il nome di Berkeley alla Biblioteca. Motivo: «non è coerente coi valori fondamentali dell'università». In inglese si dice dename: insomma hanno «snominato» la Berkeley Library, pur precisando che continueranno a insegnare il suo pensiero (c'è scritto davvero così, nel comunicato, proprio come quando si sente dire: non sono omofobo, ho anche amici gay...) e che spiegheranno la vicenda in una bacheca. Quanto alle medaglie per gli eccellenti grecisti, e ai ritratti di Berkeley, sono «sotto esame». E poi accusavano Berkeley di essere lontano dalla realtà, vedi la nemesi.
Nel frattempo, ispirati da tanta cancel virtue (e da ben poca tolleranza empirista), anche a Berkeley, California, hanno iniziato a porsi delle domande sul nome che porta la prestigiosa Università: per ora, assicura un portavoce, non ci sono piani per cambiarlo, perché è vero, Berkeley (il
filosofo) era uno schiavista con degli schiavi, ma ormai i valori a cui è associata Berkeley (l'università) sono altri. I valori, i valori... Forse bisognerebbe rileggere le pagine di certi scettici tolleranti, per riscoprirli...
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