Oriana Fallaci raccontata da molto vicino

Oriana Fallaci raccontata da molto vicino

Oriana Fallaci vista da vicino. Vista attraverso la lente, un po' grandangolare, dell'amicizia. Ma senza santificazioni o condiscendenze. Oriana Fallaci raccontata con l'accento toscano, scavando nella sua fiorentinitudine e nel suo rapporto d'amore e d'odio con la Città del giglio. Ecco cosa troverete in Oriana Fallaci. Cercami dov'è il dolore di Umberto Cecchi, appena pubblicato da Mauro Pagliai Editore (pagg. 320, euro 13, il volume è corredato da un'introduzione di Franco Cardini e da due ricordi della scrittrice di Graziano Sarchielli ed Elisabetta Galeffi). Cecchi, scrittore e giornalista di lungo corso - è stato anche direttore de La Nazione -, raccoglie in queste pagine i ricordi del suo lunghissimo rapporto con Oriana. Un'amicizia schietta nata ai tempi dell'università e portata avanti per decenni. A volte più con i silenzi che con le parole, rispettando quel pudore timido nascosto dalla ruvidezza che secondo Cecchi era il vero marchio della Fallaci. «Io ho sperimentato e rispettato per anni questa sua ora aggressiva ora quieta timidezza, questa sua voglia di solitudine che interrompeva da sola, quando ne sentiva il bisogno, per un'ora di chiacchierata, o a volte semplicemente per un'ora di silenzio in compagnia: Piazza della Repubblica a Firenze seduti a un tavolo di Gilli zitta lei, zitto io...».

Questo è il versante più personale della narrazione, e contiene passaggi toccanti. Come un dialogo quasi surreale svolto in una sala di anatomia vicino al tavolo delle dissezioni, unico testimone un cadavere. Cecchi le chiede a muso duro: «Oriana hai dovuto fare uno speciale corso universitario per renderti così antipatica, o ti viene naturale?». E l'“antipatica” che, gli occhi trasformati in tizzoni, risponde parlando col cadavere in attesa del bisturi: «È la vita che è antipatica con me... Ma per te è anche peggio, no? Con te non solo la vita è stata antipatica, ma lo è anche la morte. Spiegaglielo a questo giovanotto che spara sentenze». In altre pagine Cecchi riflette invece su quanto poco Firenze sia stata generosa con una delle penne più famose del mondo. Pochissima gente al funerale di Oriana nel 2006, il Fiorino d'oro negato, la damnatio da parte dell'intellighentia cittadina (e non solo) per le sue prese di posizione sull'islam. Per lui è stata trattata come Savonarola: «bruciata nella memoria dei suoi fiorentini: un po' per ignoranza, un po' per uno sciocco adeguarsi alla comoda morale corrente, al buonismo ipocrita che vuole che certe cose si pensino ma non si dicano e ancor meno si scrivano; un po' per acquiescenza, per una paura strisciante di andare contro una certa politica di sinistra... Contro i buonismi della Chiesa... Contro la resa incondizionata della nostra fede e cultura occidentale di fronte a qualsiasi altra fede o cultura.

Nel caso specifico di Oriana erano la fede e la cultura islamica, quella fondamentalista».

E Cecchi, per questo feroce ostracismo, attende ancora un gesto riparatore, vero, profondo. Qualcosa di più di dedicarle il nome di una via in mezzo alle solite, strumentali, polemiche.

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