"Arte, design e dialogo con la città. Ecco la filosofia del mio Miart"

Il direttore artistico della fiera d'arte contemporanea di Milano spiega come intende rilanciare la kermesse. Puntando anche sulle iniziative off

"Arte, design e dialogo con la città. Ecco la filosofia del mio Miart"

Pugliese, classe '77, Vincenzo de Bellis appartiene a quella nuova generazione di curatori che ha lavorato sul campo. Dopo essersi laureato all'Università di Lecce in Beni Culturali, un'esperienza come custode alla Fondazione Prada, un master al Bard college di New York, ha avviato a Milano il centro Peep Hole ed è stato tra i collaboratori della rivista Mousse. Nominato lo scorso autunno per tre anni alla direzione di Miart, la fiera d'arte contemporanea più «difficile» d'Italia, schiacciata tra il mercato generalista di Bologna e lo sperimentalismo cool di Torino, ha le idee chiare sul rilancio della kermesse milanese, confidando di «giocarsi molto» e di sentirsi «letteralmente terrorizzato»...

Quali i tratti distintivi del suo nuovo Miart?
«Intanto l'inserimento di una sezione ufficiale di design, con nove gallerie, nel segno di una contaminazione tra i due ambiti, novità assoluta per l'Italia e carattere distintivo di Milano, sull'esempio di alcune fiere internazionali, a esempio Zona Maco a Città del Messico. L'altro aspetto sta nella collaborazione con le istituzioni della città, quelle private (Fondazione Trussardi, Hangar Bicocca) e quelle pubbliche (PAC, Museo del '900, Palazzo Reale e Triennale) per offrire ai visitatori un ricco programma di mostre ed eventi».

Un programma che aveva avviato con l'ex assessore Stefano Boeri. Con il cambio della guardia imposto dal sindaco Pisapia, cosa accadrà?
«Boeri, per formazione culturale interessato ai fenomeni contemporanei, si è dimostrato da subito molto vicino al Miart. Il suo brusco allontanamento è stato all'inizio traumatico. Ma la nomina di Filippo Del Corno mi pare significativa soprattutto dal punto di vista generazionale, essendo lui mio coetaneo, e questo sarà un ulteriore impulso verso il rinnovamento di cui si sente il bisogno».

Significativa la presenza di gallerie straniere. Siamo al possibile rilancio del mercato in Italia?
«Segnali positivi, anche se lievi, si avvertono. Peraltro un target di gallerie straniere giovani, non le blue chip e le multinazionali, ma quelle che fanno ricerca, vengono volentieri in Italia, trovando sempre motivo d'interesse per il collezionismo del nostro Paese. E spesso tornano a casa contente, con un giro d'affari significativo. Ma siamo in sofferenza sul mercato interno, penalizzato da redditometro e Iva».

«Attaccare» il Miart a un colosso come il Salone del Mobile è un rischio o un'opportunità da sfruttare?
«Entrambe le cose. Se la combinazione funzionerà sarà stato un risultato straordinario, ma il rischio per Miart di essere “mangiata” dalla vitalità del Salone Off non va sottovalutato. Non è il primo anno che le due manifestazioni sono così vicine, e non è escluso che nel futuro si proponga la sovrapposizione per almeno un giorno al fine di mescolare i due pubblici, diversi ma complementari. La difficoltà maggiore la vedo negli aspetti pratici, l'ospitalità, la ricettività di Milano: diventa fondamentale creare accordi con tutta la città, dai ristoranti agli hotel agli spazi espositivi...».

È in atto la tendenza, in fiere e mostre, di guardarsi indietro, pescando a esempio nell'arte degli anni '70. Anche la sezione THENnow è orientata in tale direzione. Una nuova moda?
«Più che di una moda parlerei di qualcosa che è nell'aria, da Artissima a Frieze al Padiglione Italia fino alla Biennale stessa, e io da curatore non posso non tener conto di un fenomeno emergente. La differenza proposta da THENnow, una sezione inedita della fiera, sta nel confronto fra lo storico e il contemporaneo: grandi maestri come Salvo, Enzo Mari, Fabio Mauri dialogano con giovani (a esempio Francesco Arena, David Maljkovic, Tim Rollins) che si ispirano a loro anche nell'allestimento. La proposta è di guardare avanti cercando di rintracciare elementi di continuità ed eventuali fratture».

Sempre più iniziative off, e incontri, talkshow, eventi. Le fiere stanno diventando festival del contemporaneo o la centralità è ancora nelle compravendite?
«La fiera resta un evento commerciale. Ma è necessario proporre una cassa di risonanza, un'amplificazione, soprattutto a Milano dove si avverte ancora la carenza istituzionale. Lo sforzo primario è il rispetto degli obiettivi di mercato: se non si vende sarà durissima ipotizzare altre edizioni della fiera.

Per questo ho invitato 150 ospiti stranieri, che saranno accompagnati in programmi dedicati e visite guidate, sperando in un'accoglienza degna di una grande città come Milano. All'estero il mercato si è ripreso, speriamo che i segnali positivi funzionino da traino anche da noi».

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