Così i burocrati d’oro sono diventati i nostri veri padroni

Perché il potere reale finisce sempre in mano a chi controlla l’apparato amministrativo? Lo spiega un saggio del 1850...

Così i burocrati d’oro sono diventati i nostri veri padroni

C’è chi lo considera una specie di Marx americano. Una battuta con un fondo di verità, dato che John Caldwell Calhoun aveva in comune con il barbuto di Treviri la visione della storia come lotta di divergenti interessi economici. Però Calhoun era un «Marx rovesciato», non tanto perché partigiano dei proprietari e non dei salariati, ma perché individuava la fonte dei privilegi (e dei disequilibri) sociali nel potere politico e nell’apparato governativo invece che nel modo di produzione economico. A parte gli apprezzamenti di Carl Schmitt, in Europa il suo lavoro è meno conosciuto rispetto a quello di Tocqueville, altro nome fondamentale per comprendere i primi passi e le prime controversie della giovane democrazia nordamericana. Negli Usa il suo nome è noto tanto per le opere saggistiche quanto per la politica attiva che lo vide protagonista negli anni che precedettero la Guerra Civile. Calhuon era nato in South Carolina nel 1782, in una famiglia di origine scozzese dalla quale aveva ereditato una certa diffidenza per ciò che sapeva troppo di inglese, dunque di dispotico. Membro della Camera dei Rappresentanti, tentò più volte la corsa per la carica di Presidente senza mai vincere le elezioni. Fu però vice di John Quincy Adams e poi di Andrew Jackson, anche se riuscì a litigare con entrambi e con i rispettivi partiti, conservatore e democratico. Più che altro agì da indipendente, sostenuto dal suo Stato che ne ripagava l’impegno per garantire l’autonomia politica all’interno dell’Unione. La sua opera più importante, Disquisizione sul governo, è finalmente disponibile per il lettore italiano (Liberilibri edizioni, 169 pag. euro 16, traduzione e lunga introduzione di Luigi Marco Bassani, docente di storia delle dottrine politiche all'Università di Milano). Opera di sorprendente attualità, nonostante abbia quasi duecento anni, per la strenua difesa del principio federalista, dell’autonomia del singolo Stato contro ogni accentramento, per l’analisi della Costituzione come libero patto e non legge superiore che tutto sottomette. Calhoun teorizzò proprio la «nullification», l’annullamento di una legge del governo centrale nel caso danneggiasse gli interessi di uno degli Stati dell’Unione. Il diritto prepolitico alla secessione, alla stessa rivoluzione contro un governo ingiusto, era già nel codice genetico degli Stati Uniti, idea cardine dei Padri Fondatori. La vera novità di Calhoun fu la teoria della «maggioranza concorrente» da opporre alla semplice maggioranza numerica. Il governo è indispensabile per salvaguardare la società e frenare il disordine, ma tende sempre a diventare dispotico, anche, anzi soprattutto, in un sistema democratico. La maggioranza concorrente, la «negoziazione permanente» fra gli attori sociali, il diritto di veto dei diversi gruppi di interesse dovrebbe impedire che un potere, legittimato dalla mera quantità di consenso, si ingrandisca troppo a scapito degli altri. L’attualità di Calhoun risulta ancora più evidente nelle riflessioni sul problema fiscale. L’apparato dello Stato centrale richiede infatti un ingente trasferimento di denaro da parte dei singoli Stati e di tutti i cittadini, non solo per le infrastrutture utili al paese intero, ma per mantenere i burocrati e i politici di professione. Si vengono così a creare due gruppi, due classi contrapposte: i consumatori di tasse (i funzionari) e i produttori di tasse (i cittadini). Quanto viene prelevato al singolo non viene mai completamente restituito in servizi, una sua parte serve per pagare «agenti ed impiegati del governo». Dunque, «le tasse rappresentano un dono per la parte della comunità che riceve di più sotto forma di trasferimenti di quanto non paghi sotto forma di tasse, mentre per l’altra parte, che paga sotto forma di tasse più di quanto riceva sotto forma di spesa pubblica, le tasse sono vere e proprie imposte, gravami, e non doni». Gli impieghi sono creati per mezzo della spesa pubblica, mentre una classe di tecnici intasca maxistipendi per risolvere problemi talvolta creati e spesso aggravati dalla sua stessa esistenza. Inevitabili risulteranno le tensioni sociali, anche perché «più la linea del governo tenderà ad aumentare tasse e spesa pubblica, più sarà appoggiata dagli uni e avversata dagli altri».

Calhoun morì nel 1850, ma fece in tempo a profetizzare la «fine dell’Unione», la guerra fra il Sud rurale oppresso dalla pressione fiscale e il Nord industrializzato che raccoglieva i vantaggi di quella tassazione. Meglio leggere e meditare, prima che sia troppo tardi.

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