Dante alla Harry Potter Ma sbaglia chi snobba il thriller di Dan Brown

"Inferno" è un fumettone. Ma almeno lo scrittore Usa vede nella nostra tradizione qualcosa di vitale. Noi possiamo dire lo stesso?

Dante alla Harry Potter Ma sbaglia chi snobba il thriller di Dan Brown

Sottoporre Inferno (Mondadori) di Dan Brown a un esercizio di critica letteraria sarebbe come sottoporre un bambino sul suo triciclo alla prova del palloncino. Un libro di Dan Brown non si recensisce, non si legge: si guarda il film (che non c'è) da cui è comunque tratto, in attesa che il film esca davvero nelle sale. Cinquecentoventicinque pagine di puro film, inclusi effetti speciali, controfigure, stuntman. Avventure replicabili, alla Indiana Jones: Dan Brown non è un mostro di fantasia, è un mostro di ritmo.

Si comincia con un colpo di pistola, che colpisce Langdon di striscio. Qui, come nei film con Tom Cruise, i buoni si distinguono dai cattivi per la mira migliore: il buono colpisce sempre, il cattivo non sempre. Langdon è a Firenze, il colpo gli fa perdere la memoria recente. Qualcuno cerca di ucciderlo in ospedale, secondo tradizione, ma morirà soltanto un medico. Una dottoressa, guarda caso anglosassone, finita a curare i malati a Firenze non si sa come e perché (ma poi si saprà) si unisce a Langdon. Ha un Q.I. mostruoso, superiore a Michelangelo, Leonardo, Mozart, pari quasi a Chuck Norris.

Chi vuole uccidere Langdon? Può darsi che il mandante sia qualcuno che è già morto, e che i sicari agiscano indipendentemente da lui... Un'associazione benemerita, il «Consortium», dotata di elicotteri, droni e armi efficientissime nonché dell'autorità di comandare a bacchetta anche la polizia italiana e di bloccare un'intera città come Firenze (dove non tutti sono tenuti a interessarsi di Langdon e dei suoi affari) è sulle sue tracce. E non ha intenzioni benevole. Tutto questo spiegamento di forze non impedisce a Langdon e alla sua amica di farla sempre franca. Sembra che qualcuno voglia scatenare una peste per ridurre della metà la popolazione mondiale. E Langdon è, pare, il solo a poter salvare l'umanità, perciò va eliminato. L'incarico di salvare il mondo gli è stato conferito dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità. Il libro, dopo averci regalato una splendida visita-spot a Firenze, con i due in fuga da Palazzo Pitti al Corridoio Vasariano, di qui alla Sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, con la rivelazione delle simbologie dantesche, ci sposta altrove. È Dante stesso, attraverso alcuni versi espunti (meno male) dalla Commedia, a indirizzare tutti verso Venezia e poi e poi...

È difficile che un maledetto intellettuale europeo come me possa leggere questo libro senza mettersi a ridere. Anche la storia dei poveri traduttori rinchiusi in un bunker a pane e acqua, senza possibilità di comunicare con l'esterno... Tutto questo prendersi sul serio... Ma so che sbaglio. E so correggermi. E allora diciamolo: Inferno è un libro molto utile. Prima di tutto, è una grande pubblicità per Firenze, che ha bisogno di essere riempita d'oro per poter salvare il suo spaventoso patrimonio artistico e culturale. Ma c'è anche il modo in cui Brown ci presenta l'arte e la letteratura italiane. Se io non avessi mai visto Firenze, e dovessi farmene un'idea leggendo Dan Brown, ne risulterebbe un'immagine surreale, un po' fantasy, un po' Signore degli Anelli. Lo stesso vale per la Commedia dantesca, e soprattutto per l'Inferno, la cui capacità di tradurre «l'idea astratta dell'inferno in una visione chiara e spaventosa, viscerale, palpabile e indimenticabile» (pag. 78) avrebbe, secondo Brown, portato molti nuovi fedeli alla Chiesa.

Noi tutti conosciamo l'opinione di Dan Brown sui cristiani, a suo dire una setta persuasa che il suo dio risorga tutti gli anni, in un giorno di primavera. Ma non è questo che importa. Quello che importa è che un simile giudizio non impedisce a un uomo di leggere Dante. Me ne accorsi in Cina, anni fa, dove scoprii che Dante è molto amato da quelle parti, anche se per i più la sua opera è una specie di continuazione di Harry Potter. È la globalizzazione, baby. Dante è un videogioco in testa alle classifiche, mentre a Palazzo Pitti vi attendono Pippo, Pluto e Paperino. Ma la vera novità è che siamo noi che sbagliamo, continuando a santificare Dante e Leonardo (e Boccaccio, Ariosto, Leopardi ecc.), senza accorgerci che ogni celebrazione, Benigni incluso, è solo una lapide in più, una piccola lapide italiana. Se vogliamo salvare la nostra letteratura è tempo di toglierla dalle teche e dagli altari dove l'abbiamo sistemata noi tutti: storici, italianisti, antologisti, editori, giornalisti, studenti, lettori. Se essa è grande, come io credo, resisterà alla sfida globale: straziata, fraintesa, malmenata, uscirà comunque vincitrice. La leggeranno con profitto peruviani, ucraini, filippini. Altrimenti, sarà condannata. O all'inferno o in paradiso, insomma, ma basta col limbo. Io sono ottimista.

Perché Dan Brown parla sempre dell'Italia? Perché l'Italia è necessaria al mondo, ecco perché. Tutti lo sanno, meno noi italiani. Per questo non temo Dan Brown e gli dico: benvenuto, caro ignorantone, qui c'è posto anche per te e per il tuo tecno-gotico. Vedrai, ti conquisteremo.

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