Allievo di Umberto Eco. Principe della semiotica. Padre fondatore dellUlivo. Accademico e visiting professor nelle università di mezzo mondo. Molto stimato in Spagna e in Francia. Insomma un cervellone, una testa duovo, che vantava titoli altisonanti. Era considerato un ideologo distante Omar Calabrese, morto sabato notte davanti alla tv nella sua casa di Monteriggioni. Autore di saggi profondi e specialissimi sulletà neobarocca, sul linguaggio dellarte e della pittura. Direttore di riviste prestigiose e molto apprezzate nella sinistra accademica (Alfabeta, Metafore, Rivista illustrata della comunicazione) alle quali collaboravano Umberto Eco, Nanni Balestrini, Maria Corti, Paolo Volponi.
Fu il primo studioso del linguaggio dei telegiornali sul quale pubblicò due saggi (Come si vede il telegiornale, 1980 e Il telegiornale: istruzioni per luso, 1996) divenuti manuali nelle facoltà della comunicazione. Poi tra i primi critici televisivi e tra i primi a cogliere limportanza della comunicazione pubblicitaria. Autore di programmi per Rai e Mediaset. Ma da qualche anno la sua materia di elezione, la semiologia, non era più in voga come un tempo, quandera consultato come maître à penser da giornali e periodici per interpretare tendenze del costume e fenomeni della comunicazione. Lentamente era scivolato ai margini del dibattito culturale. Ma allattività di studioso, aveva sempre alternato limpegno politico come assessore alla Cultura a Bologna e a Siena, sempre nelle liste dellUlivo, la cui nascita aveva in qualche modo ispirato ai tempi delle riunioni alla Certosa di Pontignano e nel Castello di Gargonza. Ma quando nel 2007 il Pd tentò la rifondazione annunciò con una durissima lettera sul Corriere che non si sarebbe iscritto perché lo considerava «peggio della Dc: niente laicità e tanta nomenclatura».
Nato a Firenze nel 49, era arrivato al Dams di Bologna allinizio dei Settanta come assistente di Thomas Maldonado per poi affiancarsi a Eco, deus ex machina dellistituto. «Erano anni di follia e di talento» li ricorda leditore Beppe Cottafavi, anche lui studente al Dams. «Calabrese fu il fratello maggiore di una generazione che ebbe tra le sue punte gente come Tondelli, Pazienza, Freak Antoni». Quando potè scegliere dove insegnare, a Firenze preferì Siena «che mi piaceva di più». Curioso, gran conversatore, amante della musica e compagno perfetto a tavola, Calabrese era tuttaltro che un chierico austero come certe memorie tendono ora a restituircelo.
«Mi piace ballare, cantare, giocare a carte (bridge e tresette), a ping pong e a calcio balilla», raccontò in unintervista di qualche anno fa. E la passione per il gioco e il bel vivere animava i suoi molteplici interessi extra-scientifici. Collaborò con la griffe di Versace, suggerendo la linea ribelle di Versus. Per la Fiat coniò i nomi della Duna, poi tradotta in Palio, e Siena, tanto per ribadire la predilezione per la città amata. A Pontedera, in occasione del centenario della Piaggio, aveva organizzato una mostra che ne ripercorreva la storia attraverso le immagini pubblicitarie. Per leditore Lupetti scrisse Il mito di Vespa, che non era il conduttore di Porta a porta, ma lo scooter più venduto del Novecento.
Calabrese era uno studioso pop, che non disdegnava il varietà, la moda, persino il lusso. Nel 2001 partecipò alla giuria dei garanti del Festival di Sanremo. Nel 2003 iniziò la collaborazione con Enoteca italiana per il progetto «Vino e Giovani» che produsse ricerche e concorsi. Eclettico, estetizzante al limite dellerudizione, ha pubblicato interventi su uninfinità di riviste e sui temi più disparati. La televisione generalista ora la vedeva come un reperto archeologico, al punto che aveva preferito partecipare ai primi tentativi di tv di qurtiere.
Da qualche anno si era defilato. Concentrato sullattività universitaria e la vita nella campagna senese, aveva snobisticamente mantenuto la collaborazione con la prestigiosa rivista Cartier.
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